Nel sistema delle imposte sui redditi, il diritto positivo, salvo quanto disciplinato dall’art. 116 del TUIR, non riserva alle società di capitali a ristretta compagine la presunzione legale di distribuzione degli utili ai soci, o , più correttamente, l’imputazione per trasparenza del reddito societario ai soci, operante, invece, nei confronti dei soci di società semplici o società di persone, in forza dell’art. 5 del TUIR. Tuttavia, è noto che la Suprema Corte di Cassazione, a partire, da quanto mi consta, dalla sentenza 4.2.1980, n. 780 emessa dalla Sez. I civile, ritiene legittima, in sede di accertamento in capo alla società di capitali a ristretta compagine di utili non contabilizzati, la presunzione di distribuzione ai soci dei predetti utili, osservando, nello specifico, che tale presunzione “non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso normalmente caratterizza la gestione sociale” (cfr., ex pluribus: Cass. nn. 33541/2019, 19171/2019, 1947/2019, 1123/2019, 32959/2018, 7592/2017, 15824/2016 e 9519/2009).
Ebbene, dal principio di diritto testé riportato dovrebbe inferirsi che il socio, ricevuto l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate accerta nei suoi confronti un maggior reddito di capitale in proporzione alla quota detenuta nel capitale sociale, può contestarne la fondatezza deducendo, senza pretesa di esaustività, quanto segue:
la mancata effettiva distribuzione degli utili “extra-contabili”, perché accantonati o reinvestiti dalla società partecipata (cfr., ex pluribus: Cass. nn. 30351/2019, 28377 e 28376/2019, 27639/2019, 13503/2018, 24572/2014 e 20043/2015) o, comunque, dalla stessa destinati ad altri utilizzi (cfr.:Cass. nn. 28377 e 28376/2019, 19130/2019 e 21573/2005. Nella citata sentenza n. 19130/2019, si è ammessa la possibilità che il socio superi la presunzione di distribuzione degli utili extra-contabili provando che quest’ultimi siano stati impiegati per pagare una persona poi condannata per estorsione);
la propria estraneità alla gestione e conduzione societaria (cfr., ex pluribus: Cass. nn. 34282/2019, 27639/2019, 19171/2019, 16545/2019, 23247/2018, 18042/2018 e 17461/2017), ad esempio fornendo la dimostrazione della propria posizione di mero socio “fiduciario” (cfr.: Cass. n. 19171/2019 e CTR Sardegna n. 311/2017), sebbene non manchino pronunce della giurisprudenza di legittimità, a mio avviso non condivisibili, secondo le quali ai fini dell’operatività concreta della presunzione di distribuzione degli utili “extra-contabili” accertati in capo alla società sarebbe “ininfluente” la “partecipazione del socio alla gestione e/o amministrazione della stessa”, posto che “Il fatto che il socio di S.r.l. a base ristretta rimanga distante dalle decisioni che attengono all’amministrazione e alla gestione dell’impresa sociale non è infatti incompatibile con la distribuzione degli utili extracontabili”, con la conseguenza che sarebbe necessaria la prova che “il socio non solo non sia stato messo a parte delle decisioni gestionali ma anche degli utili d’impresa ovvero sia stato ad esso anche impedito di controllarne l’esistenza” (Cass. nn. 26112/2019 e 4965/2017);
l’insussistenza in capo alla società partecipata di utili non contabilizzati e non dichiarati da parte della società.
Ciò detto,vorrei soffermarmi di più su quest’ultimo aspetto, poiché, per quanto possa sembrare assurdo,in seno alla Suprema Corte si è formato un nutrito orientamento, da ultimo riconfermato con le ordinanze 29.10.2019,nn. 27639, 27638 e 27637,secondo il quale,laddove l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società a ristretta base sociale divenga definitivo per omessa impugnazione,il socio non avrebbe titolo, nel giudizio instaurato con l’impugnazione del proprio avviso di accertamento, di dimostrare che la società partecipata non ha conseguito utili “extra-contabili” (si vedano inoltre Cass. nn. 16545/2019, 11045/2019, 15828/2016, 15824/2016 e 441/2013). Nello specifico, la pressa da cui muove tale assunto è che “le società di capitali hanno una soggettività giuridica distinta e separata da quella dei singoli soci, con la conseguenza che società e soci sono titolari di posizioni fiscali anch’esse autonome e indipendenti” e che “la ristrettezza della base sociale non elimina detta distinzione soggettiva”.
Tale orientamento giurisprudenziale non può essere assolutamente condiviso in quanto, in un colpo solo, contrasta palesemente con i principi costituzionali del diritto di difesa (art. 24, commi 1 e 2, della Cost.), del diritto alla tutela giurisdizionale avverso gli atti della pubblica amministrazione (art. 113, comma 1, della Cost.) e del giusto processo (artt. 111, commi 1 e 2, Cost.), obbligando, di fatto, il socio a subire le conseguenze del contegno tenuto dalla società. Peraltro, la stessa argomentazione giuridica brandita dalla medesima giurisprudenza, cioè l’autonomia giuridica tra società a ristretta compagine e soci, dovrebbe condurre all’opposta conclusione di affermare il diritto del socio di stroncare tout court l’operatività concreta della presunzione di distribuzione degli utili “extracontabili”, provando l’inesistenza dei medesimi utili.
Tanto è vero (e viene naturale dire per fortuna), che sia i richiamati parametri costituzionali sia la distinta e separata soggettività giuridica delle società di capitali a ristretta compagine rispetto a quella dei soci ha indotto altro orientamento della giurisprudenza di legittimità (largamente seguito dalla giurisprudenza di merito - cfr. CTR Lombardia n. 721/2020, CTR Marche n. 515/2018, CTP Parma n. 412/2017 e CTR Lazio, n. 1070/2019), ad ammettere che quest’ultimi possano contestare autonomamente in giudizio la ricorrenza di utili societari non contabilizzati. E ciò, sia nel caso di consolidamento dell’accertamento societario per omessa impugnazione (cfr. Cass. 19013/2016, richiamata da Cass. 25683/2016), sia nell’ipotesi in cui la società abbia definito il maggior reddito di impresa ricorrendo ad uno degli strumenti deflattivi del contenzioso tributario offerti dall’ordinamento giuridico (Cass. 32959/2018 e 386/2016) o abbia impugnato il proprio avviso di accertamento (Cass. 16246/2018, 16425/2018, 25683/2016, 19013/2016, 386/2016 e 17966/2013), con la precisazione che l’eventuale sentenza negativa definitivamente emessa in capo alla società “non può svolgere alcuna efficacia di giudicato nei confronti del socio per il divieto imposto dai principi costituzionali in tema di tutela dei diritti e da quelli codicistici in materia di limiti soggettivi del giudicato” di cui all’art. 2909 del codice civile (Cass. n. 17966/2013). I valori costituzionali in gioco inducono ad auspicare che sulla questione se il socio possa o meno contestare in sede giudiziale l’esistenza degli utili extra-contabili, indipendentemente dalla condotta tenuta dalla società e dall’esito del relativo giudizio, si pronuncino al più presto le Sezioni Unite civili della Suprema Corte, chiarendo una volte per tutte che l’azione giurisdizionale dei soci non può essere in alcun modo compressa o vanificata dalla condotta tenuta dalla società partecipata.