Simone
        Faiella

Riciclaggio e autoriciclaggio per equivalente. Il problema del provento da reato tributario

Di Simone Faiella

SCLN


Riciclaggio e autoriciclaggio per equivalente. Il problema del provento da reato tributario

321 RICICLAGGIO E AUTORICICLAGGIO “PER EQUIVALENTE”. IL PROBLEMA DEL PROVENTO DA REATO TRIBUTARIO

“Value” money laundering and “value” self-laundering.

The issue of the fiscal crime proceeds

Gli artt. 648-bis e 648-ter.1 c.p. sono stati intesi come strumento indiretto di lotta all’evasione fiscale, quando la loro attitudine avrebbe dovuto condurli ad un loro prevalente impiego verso i flussi di capitali del crimine organizzato. La indiscriminata ammissione di tutti i reati tributari nel novero dei reati presupposto ha comportato la ‘riduzione' della provenienza qualificata della res a un mero miraggio dogmatico-ermeneutico. La cd. “concezione finanziaria” dei reati di riciclaggio e autoriciclaggio ne ha anch’essa sbiadito i tratti essenziali, esponendo le figure criminose alle continue oscillazioni dell'overruling in malam partem. Analizziamo le cause che hanno condotto a questo stato dell’arte, valorizzando le ragioni tecnico giuridiche che dovrebbero condurre ad un recupero dei cd. ‘fondamentali' della materia.

When, by their very nature, Articles 648 bis and 648 ter 1 of the Criminal code should have been directed mainly to the capital flow of organized crime, they have instead been directed towards almost exclusively towards tax evasion. The indiscriminate intrusion of fiscal crimes into the number of predicate offences has signified a diminishment of the qualified origin of the res, the first element for any configurability of these accessory crimes, has been reduced to a mere dogmatic - hermeneutic delusion. The essential features of the so called “Financial conception” of money laundering and self-laundering crimes have also faded, exposing these to the continuous fluctuations of overruling in malam partem. We analyze the causes that led to this state of the art, sharply recalling the technical and legal reasons that should lead to a recovery of the so-called ‘fundamentals’ still in force.

di Simone Faiella

Professore a contratto nell’Università Internazionale di Roma Avvocato

1. COMPLICAZIONI NORMATIVE E SEMPLIFICAZIONI ERMENEUTICHE

Alla luce del lustro appena trascorso dalla entrata in vigore del delitto di cui all’art. 648-ter1 c.p.1, è utile svolgere alcune riflessioni riguardo all’esperienza applicativa su di esso maturatasi, segnatamente nella ‘materia' dei proventi da reati tributari. Tale prospettiva di analisi rivela quanto tale esperienza stia influendo sulla dogmatica dell’intero comparto dei cd. " reati accessori “[^2].

[^2].Per un affresco sull'iter che ha condotto al varo dell’art. 648 ter 1 c.p. e per una segnalazione dei profili di criticità dettati dalle forzate connessioni con la responsabilità ‘da reato tributario', v. P.V. TONINI, Autoriciclaggio di denaro: criticità e profili innovativi di legislazione penale contemporanea, in Arch. pen., fasc. 3, 2015.

La previsione incriminatrice di cui all’art. 648 - ter. 1 c.p. ha fatto ingresso nel sistema penale italiano con la dichiarata mission di abbattere quel dogma comunemente evocato con il suggestivo nomen di “privilegio di autoriciclaggio”, collocandosi in netta controtendenza rispetto a un’elaborazione dogmatica ed ermeneutica ‘di lungo corso', che indicava il detto privilegio come validamente ancorato su pretesi nessi ontologici con il reato fonte. La riforma, a mo' di rivoluzione copernicana, avrebbe dovuto elidere quella promessa di impunità che ne derivava e che aveva informato di sé la disciplina dettata dall’art. 648-bis c.p. dai suoi stessi esordi.

La riforma, a mo' di rivoluzione copernicana, avrebbe dovuto elidere quella promessa di impunità che ne derivava e che aveva informato di sé la disciplina dettata dall’art. 648-bis c.p. dai suoi stessi esordi.

Anonimamente rubricata quale “Sostituzione di denaro o valori provenienti da rapina aggravata, estorsione aggravata, sequestro di persona a scopo di estorsione”, la fattispecie venne collocata nel titolo XIII (“Dei delitti contro il patrimonio), immediatamente dopo quella di ricettazione 2.

In questa stessa ottica di continuità con il delitto di cui all’art. 648 c.p., anche la nuova previsione incriminatrice venne dotata dello stesso incipit ("Fuori dei casi di concorso nel reato") e, in linea con quello stesso fil rouge, la nuova figura criminosa venne anch’essa fondata su condotte neutre, peraltro - ad onta della rubrica – solo finalizzate alla sostituzione 3. Il dolo specifico alternativo di ricettazione e di favoreggiamento reale ne faceva una sorta di Giano bifronte privo di reali tratti autonomi 4. L’art. 648 - bis c.p., quale frutto spurio della decretazione d’urgenza del legislatore del ‘78, fu impressa di quell’‘artificiale' continuum con il delitto di ricettazione che ne avrebbe compromesso la messa fuoco, l’efficacia e la capacità selettiva 5. Il legislatore attenderà dodici anni per introdurre nell’art. 648 - bis c.p. il riferimento all'ostacolo all’identificazione della provenienza della res 6. Con lo stesso intervento, oltreché conferire alla fattispecie l’attuale nomen di “Riciclaggio” e mutare il riferimento alla sostituzione, amplierà il decalogo dei delitti presupposto inserendovi i reati concernenti la produzione e il traffico di sostanze stupefacenti.

Nel 1993 il legislatore interverrà nuovamente sull’art. 648 - bis c.p., stavolta, in ratifica ed esecuzione della Convenzione di Strasburgo del 1990 7, inserendovi il riferimento al trasferimento e ampliandone il novero dei reati presupposto alla ‘categoria' del “delitto non colposo”.

Secondo la prassi dominante, la previsione incriminatrice avrebbe ritagliato per la ‘sottofattispecie' dell'ostacolo un ruolo meramente residuale rispetto a quelle di trasferimento e sostituzione. Solo queste avrebbero infatti assunto la veste di paradigma dell’intera fattispecie criminosa, in quanto ritenute di per sé sufficienti ai fini dell’applicazione dell’art. 648 - bis c.p.a prescindere da qualsivoglia effettiva idoneità decettiva della condotta 8.

Il trend ‘ultraestensivo' si sarebbe poi fatalmente riflesso sul piano della definizione dei perimetri del nesso soggettivo. Proprio l'‘artificiale' neutralità delle condotte di riciclaggio avrebbe reso percorribile la via del dolo eventuale anche in ambito di delitto di riciclaggio. Tale via sarebbe risultata in fatto preclusa, ove invece si fosse affermata la necessaria consistenza dissimulatoria della relativa condotta 9.

Il delitto di riciclaggio ha finito così per essere reso indistinguibile rispetto al delitto di ricettazione. Si trattava di una conseguenza inevitabile in quanto ad ogni trasferimento (art. 648-bis c.p.) è connaturato un acquisto (art. 648 c.p.) e viceversa.

Ne è derivato che, ogni qual volta un’operazione prenda ad oggetto denaro, la prassi si muova nella sola ottica della qualificazione del fatto secondo l’art.648-bis c.p. Tale deriva ermeneutica è, evidentemente, dimentica anche di quanto pure l’art. 648 c.p. contempli quale proprio oggetto materiale il denaro.

che aveva legittimato la non punibilità dell’autoricettazione” dovesse valere anche ai fini della non punibilità dell’autoriciclaggio”.

Per questa via si negavano in primis le peculiarità di ratio e di storia della disciplina del delitto di ricettazione. Nelle codificazioni preunitarie, esso era considerato quale “concorso post delictum”. Come si sarebbe poi autorevolmente sottolineato, detta ipotesi tutto aveva fuor che i crismi dell’effettivo concorso, «per la semplice e persuadente ragione che l’uomo non può chiamarsi a render conto di un delitto se non quando ei ne sia stato cagione; onde ripugna ravvisare complicità in chi prese ad agire soltanto dopo consumato il delitto, perché ciò include il sofisma di ammettere una causa posteriore all’effetto» 10. In accoglimento delle indicazioni offerte dalla dottrina, il delitto diverrà fattispecie autonoma con l’incipit “Fuori dei casi di concorso nel reato”11.

Il delitto di ricettazione si andrà ad incentrare sugli atti di acquisto o ricezione, con ciò dichiarando – già nella descrizione della condotta – la necessaria estraneità di autorìa rispetto al reato presupposto12.

Mai, inoltre, si porrà all’orizzonte qualsivoglia proposta di introduzione del delitto di “autoricettazione”: nelle ipotesi monosoggettive, non si potrebbe nemmeno concepire un acquisto da se stessi; nelle ipotesi concorsuali si tratterebbe di punire una trasmissione della mera disponibilità materiale della res tra più coautori dello stesso fatto di reato (presupposto). In ragione di quest’ultimo sarebbero infatti già tutti possessori,quantomeno in via mediata (art. 1140 c.c.).

Allo stesso tempo, il cd. “autoriciclaggio” – contrariamente a quanto appena osservato in tema di “autoricettazione” – evocava questioni che non attenevano alla tipicità del fatto, ma esclusivamente alla sua punibilità. La non punibilità del post factum non disconosceva, anzi, presupponeva proprio la tipicità dell’autoriciclaggio. Quest’ultimo, già prima della novella del 2014, costituiva dunque un fatto tipico,qualificabile ai sensi dell’art. 648 - bis c.p.La formula legis, non riconoscendo rilievo alla distinzione tra dante causa e accipiens, rendeva ascrivibile il delitto ad entrambi i terminali del rapporto duale. Il trasferimento,la sostituzione e le «altre operazioni in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza» potevano infatti riguardare sia il dante causa sia l'avente causa.

L’autoriciclaggio era semplicemente il delitto di riciclaggio compiuto dallo stesso autore del reato presupposto. Riprova in tal senso giungeva dalla piana considerazione che, in assenza di quella precedente responsabilità, si sarebbe potuti incorrere nel delitto di cui all’art. 648-bis c.p. anche quali danti causa. Si sarebbe dunque dovuto riconoscere che, diversamente dal delitto di ricettazione – perciò considerato fattispecie plurisoggettiva impropria[^14] –, nel delitto di riciclaggio l’intersoggettività è mera eventualità, che si palesa sul piano statistico e non anche su quello strutturale-dogmatico. Nulla toglie infatti che un narcotrafficante, mediante ad esempio una sala cinematografica di cui sia titolare, decida di conferire “lecito vestizione” ai flussi provenienti dalla propria attività illecita emettendo molti più biglietti di quanti effettivamente non ne venda. È invece prevalso, e si è via via consolidato,il costrutto dogmatico-ermeneutico di ‘stampo ricettatorio', avvinto all’asserito necessario ricorrere di un rapporto negoziale (intersoggettivo e commutativo) della titolarità di un diritto.

Sull’onda di questo imprinting, la giurisprudenza aveva “riqualificato” il delitto di riciclaggio come fattispecie di “particolare ricettazione”[^15] e la non punibilità dell’autoriciclaggio aveva finito così per operare sempre, inibendo l’applicazione dell’art. 648-bis c.p. anche ai casi di successiva reale dissimulazione.

Il mancato distinguo tra money spending e money laundering aveva fatto sì che rimanessero attratte nell’area del privilegio anche manovre più complesse ed efficaci di effettiva

“lecito - vestizione” 13. Mentre il fondamento dogmatico del privilegio di autoriciclaggio era stato tratto sulla scorta del principio del ne bis in idem sostanziale, il suo fondamento normativo era stato identificato dunque sulla scorta della citata clausola di riserva. Tale assetto di disciplina recava l’assurdo di incentivare l’autore del reato presupposto al compimento di fatti di riciclaggio: a fronte della non punibilità in diritto del secondo reato, egli avrebbe potuto conseguire la non punibilità in fatto del primo illecito.

[^]: «§ 1956.Title 9-105.100 - Introduzione - La legislazione federale in materia di riciclaggio entrò in vigore nel 1986 con l’approvazione del M.L.C.A. codificato al 18 USC paragrafi 1956 e 1957. Per coordinare ed uniformare queste norme sono state promulgate alcune regole che sono qui di seguito indicate […]. 9-105.300, 310, 320, 330 (Omissis). Illustrazione - Entrambe i paragrafi 1956 e 1957 richiedono che i beni oggetto di riciclaggio siano effettivo provento di attività illecite al momento in cui avviene il riciclaggio. La norma non stabilisce espressamente in quali casi i beni debbano essere considerati “proventi” ma dal contesto si evince che il bene deve essere il risultato di un reato già consumato o di una fase già conclusa di un reato in corso, prima che avvenga il riciclaggio. Pertanto né il 1956 né il 1957 possono essere applicati quando nella stessa transazione finanziaria siano contemporaneamente presenti sia il riciclaggio sia i proventi di una specifica attività criminale da riciclare. 4 (omissis) Illustrazione - Una delle maggiori difficoltà incontrate nell’applicazione delle disposizioni sul riciclaggio è quella alla quale ci si riferisce normalmente come i casi di “ricevuta e deposito”. Questi sono i casi nei quali una persona deposita i proventi di una attività illegale da lui stesso compiuta su di un conto bancario chiaramente identificabile e riferibile a detta persona. In questo caso non vi è alcun occultamento e la transazione è eseguita in modo tale che detta persona può tranquillamente usare e godere dei proventi dell’attività illecita. Alcune preoccupazioni sono sorte sul fatto che i casi di “ricevuta e deposito” non possono essere giudicati così severamente come quelli di riciclaggio con occultamento dei beni perché evidentemente nei casi di R&D il riciclaggio non crea allarme sociale a parte quello della specifica attività illegale ed in qualche caso non è che il completamento della stessa attività illecita. [^]: Tali preoccupazioni hanno fatto sì che la Sentencing Commission modificasse le linee guida delle decisioni in modo che venisse ridotto il grado di repressione del reato di riciclaggio. Mentre i §§ 1956 e 1957 si applicano alle transazioni R&D per ragioni di indirizzo generale, dette transazioni non debbono essere imputate salvo che siano presenti circostanze estreme. Quindi dette transazioni possono essere addebitate quando siano presenti altri indizi riferiti al riciclaggio quali tentativi di nascondere o sviare i proventi illeciti, quando la transazione ha per scopo una ulteriore attività illecita o quando tende ad evitare la sua trasparenza».

La punibilità dei fatti di autoriciclaggio, preferita alla allarmante alternativa della punizione del riciclaggio colposo 14, imponeva – contrariamente a quanto si era ritenuto sino ad allora – un superamento della neutralità delle condotte, mediante una chiara valorizzazione del profilo dissimulatorio. Solo l’identificazione del delitto nella manovra di occultamento avrebbe condotto a qualificare il fatto di autoriciclaggio come un qualcosa di ulteriore e diverso e, soprattutto, non necessitato rispetto al reato presupposto. Questo ‘salto di qualità' nella definizione dei tratti distintivi del fatto avrebbe consentito di scindere quel rapporto di implicazione necessaria tra reato fonte e reato accessorio che, per il delitto di riciclaggio, aveva reso quest’ultimo una conseguenza inevitabile, e perciò non punibile, del primo15.

Sul piano della collocazione all’interno del Codice, bene avrebbe fatto il legislatore del 2014 ove avesse finalmente collocato la previsione (assieme a quelle di cui agli artt. 648 - ter e 648 - quater c.p.) in un contesto codicistico più consono. Nulla gli avrebbe infatti impedito di confezionare un’unica previsione incriminatrice che tenesse in debito conto quanto l’autoriciclaggio non sia altro che il fatto di riciclaggio, ma commesso dall’autore del reato presupposto. L’unica fattispecie avrebbe dovuto incentrata tutta sulla idoneità in concreto della manovra, eliminando qualsivoglia riferimento ad atti neutri quali quelli di “trasferimento” e di “sostituzione”. Tale semplice intervento, unito alla rimozione della citata clausola di riserva (“Fuori dei casi di concorso nel reato"), avrebbe offerto all’interprete un quadro normativo univoco e certamente più chiaro 16. La garanzia di un trattamento più mite in favore dell’autore del reato presupposto avrebbe potuto essere assicurata, ove non si fosse ritenuto di affidarsi all’art.81 cpv. c.p., a una semplice attenuante (soggettiva), anche non bilanciabile 17.

Il pigro approccio di conservazione dell’esistente ha, invece, condotto a mantenere intatte sia la collocazione codicistica del delitto di riciclaggio sia la sua vaga formula per come espressa dall’art. 648 - bis c.p., affidando la disciplina dei fatti di autoriciclaggio ad una nuova e ulteriore previsione incriminatrice. Ne è derivato un assetto inutilmente complicato e multiforme, nel cui contesto la stessa ‘collocazione numerica' conferita al delitto di autoriciclaggio si autodefinisce quale testimonial di un’ingiustificata complicazione concettuale.

Allo stato, ricorrono nel nostro ordinamento due formulae legis gravemente distoniche tra loro. La disciplina vigente è foriera di indebite scomposizioni della qualificazione giuridica di uno stesso fatto ove compiuto in concorso tra responsabile del reato presupposto ed estraneo ad esso. Tale duplicazione normativa ha così recato questioni inutili e complesse, all’interno delle quali spicca quella della identificazione del ‘titolo' della responsabilità dell’anzidetto extraneus ove conferisca un contributo di riciclaggio in favore dell’autore del reato presupposto. Quid iuris in tali casi tra delitto di riciclaggio e concorso nel delitto di autoriciclaggio?18

La riforma ha costituito dunque un’occasione persa per il riordino di un intero comparto di disciplina. L’art. 648 - ter.1 c.p. si rivela uno dei tanti prodotti di scarso pregio della legislazione ‘contemporanea', collocabili sulla falsariga della sempre attuale “eterogenesi dei fini” di Wundt 19. Difatti, l’autoriciclaggio in senso stretto – come la stessa prassi sta riconoscendo – viene ancora riconosciuto quale post factum non punibile 20. Nonostante la rubrica utilizzata, ciò che risulta oggi punibile è solo la dissimulazione della provenienza della res mediante “autoimpiego”. Come vedremo nel prosieguo, anche la finalizzazione che si è inteso di imprimere al delitto di autoriciclaggio ha contribuito a confondere la ricostruzione dogmatico ermeneutica della fattispecie di cui all’art.648-ter.1 c.p.

2. I DIROMPENTI EFFETTI DELL “ETERODIREZIONE ERMENEUTICA”

Il nostro Paese, ben prima dell’avvento dell’art. 648-ter.1 c.p., è stato lungamente invitato – sia in sede comunitaria sia in sede G.A.F.I. – a punire l’evasione fiscale facendo ricorso al delitto di riciclaggio 21. Anche recentemente, la direttiva (UE) 2018/1673 ha indicato come “attività criminosa” che possa dirsi presupposto dei reati di riciclaggio «qualsiasi tipo di coinvolgimento criminale nella commissione di un qualsiasi reato punibile, conformemente al diritto nazionale, con una pena detentiva o con una misura privativa della libertà di durata massima superiore a un anno ovvero, per gli Stati membri il cui ordinamento giuridico prevede una soglia minima per i reati, di un qualsiasi reato punibile con una pena detentiva o con una misura privativa della libertà di durata minima superiore a sei mesi». Sono dunque reati considerati in ogni caso attività criminose la «frode, compreso qualsiasi reato di cui alla decisione quadro 2001/413/ GAI del Consiglio» (art 2, lett. i), e «i reati fiscali relativi alle imposte dirette e indirette, conformemente al diritto nazionale» (art. 2 lett. q) 22.

Giova a tale riguardo ricordare come, quando questi input di rango sovranazionale venivano espressi, il nostro art. 648-bis c.p., già dal ‘93, fosse stato ampliato a tutti i delitti (non colposi). Non a caso, le “Istruzioni operative per la segnalazione di operazioni sospette” della Banca d’Italia avevano indicato, a norme invariate, i reati fiscali come presupposto del delitto di riciclaggio 23.

La richiesta è stata quindi ‘interpretata’ come volta – piuttosto che ad un mutamento di disciplina – ad un cambio di marcia nella sua applicazione, affinché fosse punita l’evasione fiscale anche mediante l’art. 648-bis c.p. Simili incursioni sulla nostra ermeneusi riproducevano in qualche forma quanto avvenuto nel contiguo tema della cd. “saga Taricco”; con la differenza però che, in questo ambito, non sembrano aver operato i controlimiti 24.

Tale pressione ermeneutica, volta alla miglior tutela degli interessi finanziari dell’Unione europea, ha infatti svolto appieno i suoi riflessi anche sulla definizione del target di tutela della disciplina penale dei fatti di riciclaggio e di autoriciclaggio. Sin da quando se ne è iniziato a discutere seriamente, il ‘nuovo' delitto di autoriciclaggio è stato identificato come tessera ineliminabile di un preconcetto mosaico punitivo, nel cui contesto la nuova norma avrebbe dovuto costituire un ulteriore strumento di tutela contro l’evasione fiscale, risarcendo la disciplina dei delitti tributari della sua vulnerabilità in termini di prescrizione. Non è un caso se l’introduzione nel nostro sistema del self laundering sia avvenuta nell’ambito di una riforma destinata alla lotta all’evasione fiscale 25.

In realtà, il vulnus recato dalla tendenziale maggiore complessità dell’accertamento di alcuni dei reati disciplinati dal d.lg. 10 marzo 2000, n. 74, aveva già condotto il legislatore ad innalzare di un terzo i termini di prescrizione per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 del medesimo decreto 26.

Se già all’epoca, dunque, l’esigenza di un rinforzo ab externo del comparto del diritto penale tributario era una fake news, essa lo è divenuta ancor più oggi mediante l’ulteriore ricorso alla decretazione d’urgenza con il d.l. 26 ottobre 2019 27. Quest’ultimo, nella parte in cui ha aumentato minimi e massimi edittali delle fattispecie fondamentali di cui al d.lg. 10 marzo 2000, n. 74, ha infatti indiscutibilmente conclamato la stagione della ipercriminalizzazione dell’evasione fiscale.

In ambito di delitto di riciclaggio, l’impostazione “fiscal-punitiva” aveva dato prova di sé già da prima dell’avvento della novella dell’art. 648-ter.1 c.p., facendo leva su una particolare lettura dell’evoluzione della disciplina dettata dall’art. 648-bis c.p. A tale riguardo, veniva valorizzato sia l’ampliamento della previsione alle “altre utilità”, realizzato dal legislatore del ‘90, sia l’estensione della clausola di selezione del reato presupposto alla categoria del “delitto non colposo”, posta in essere dal legislatore del ‘93.

In base a tali rilievi, l’indirizzo applicativo dominante si svilupperà ritenendo le contravvenzioni e i delitti colposi gli unici reati presupposto estranei all’ambito di applicazione dell’art. 648 - bis c.p.

Simile indirizzo ermeneutico troverà sponda nella riforma dei reati tributari di cui al d.lg. 10 marzo 2000, n. 74. Con essa si supererà l’impostazione della previgente disciplina fondata su fattispecie di reato in gran parte di rango contravvenzionale 28.

Attraverso la citata novella, tale comparto normativo – costellato di soli delitti (dolosi) – si presenterà interamente compatibile con la ‘categoria’ dei reati presupposto selezionata dall’art. 648 - bis (e oggi anche dall’art. 648 - ter.1 c.p.).

La riforma dei reati tributari ha, dunque, trovato quale formidabile interfaccia le modifiche operate sull’art. 648-bis c.p. Si è affermato, infatti, che «L’evoluzione storica della norma in esame (…) ha messo in evidenza come il legislatore, con le due riforme, abbia ampliato non solo il numero dei reati presupposto, ma anche la condotta incriminabile e lo stesso oggetto del reato, passando dalla semplice sostituzione di “denaro o valori” alla sostituzione o trasferimento di “denaro, beni o altre utilità”. Con tale amplissima ed ellittica formula è del tutto evidente che il legislatore ha inteso colpire, con il delitto di riciclaggio, ogni vantaggio derivante dal compimento del reato presupposto, tant’è che ha adoperato la locuzione “altre utilità” come una sorta di clausola di chiusura rispetto al “denaro e beni” proprio per evitare che potessero sfuggire dalle maglie della repressione penale utilità (qualunque esse fossero) derivanti dal reato presupposto e delle quali l’agente, grazie all’attività di riciclaggio posto in essere da un terzo, potesse usufruirne» 29.

Il riferimento cardine per operare questa ‘rilettura' è palesemente costituito dall’ampiezza del riferimento alle “altre utilità”. Attraverso di esso, si afferma nella stessa occasione, che «la locuzione ‘altra utilità' è talmente ampia che in essa devono farsi rientrare tutte quelle utilità che abbiano, per il responsabile del reato presupposto il reato presupposto, un valore economicamente apprezzabile», ricomprendendovi «non solo quegli elementi che incrementano il patrimonio dell’agente ma anche tutto ciò che costituisca il frutto di quelle attività fraudolente a seguito delle quali si impedisce che il patrimonio s’impoverisca: il che è quanto accade quando viene perpetrato un reato di frode fiscale a seguito del quale l’agente, evitando di pagare le imposte dovute, consegue un risparmio di spesa che si traduce, in pratica, in un mancato decremento del patrimonio e, quindi, in una evidentissima e solare utilità di natura economica».

L’ampliamento dell’oggetto del reato di cui all’art. 648-bis c.p., dal “denaro o valori” al “denaro, beni o altre utilità” – operata attraverso la l. 19 marzo 1990, n. 55 –, darebbe dunque prova di una voluntas legis di colpire ogni vantaggio derivante dal compimento del reato presupposto. Il riferimento alle “altre utilità” costituirebbe ancor oggi una clausola di chiusura in grado di ricomprendere tutto ciò che abbia un “valore economicamente apprezzabile” e, di conseguenza, anche il frutto di quelle attività fraudolente fiscali a seguito delle quali si impedisca un impoverimento del patrimonio. Il reato “di frode fiscale” permetterebbe di evitare il pagamento delle imposte per come realmente dovuto e, perciò, farebbe conseguire un risparmio che si tradurrebbe inevitabilmente in un mancato decremento patrimoniale. Dunque, l'utilitas recata dai delitti tributari sarebbe sempre e incondizionatamente suscettibile di essere oggetto di riciclaggio con il fine, sempre più presunto, di ostacolarne la provenienza e permetterne la sottrazione alla pretesa impositiva dello Stato 30 .

Recentemente si è affermato che tale iter evolutivo costituirebbe riprova di quanto l’intera disciplina del delitto riciclaggio sia «segnata da un affievolimento del legame con il delitto presupposto» 31.

3. LA TRASFIGURAZIONE DELLA CONFISCA “PER EQUIVALENTE”

Le nuove linee di indirizzo ermeneutico sono state ulteriormente favorite dall’evoluzione della disciplina e della prassi applicativa in tema di confisca. Nell’identificazione dei parametri fondamentali che reggono i rapporti tra reato fonte e reati accessori, certamente costituisce un crocevia essenziale quello della continuità tra prodotto, profitto e prezzo (art. 240 c.p.) e provento (artt. 648, 648-bis, 648-ter e 648-ter.1 c.p.).

La prossimità concettuale tra gli uni e gli altri è dettata dal ruolo del reato che ne costituisce la fonte. Il legislatore li evoca come fossero sinonimi. Ed infatti, se nella formula adottata in particolare per l’art. 648 c.p. – dopo peraltro il riferimento al fine di profitto – indica gli oggetti materiali seguiti dalla dizione “provenienti da”, per il delitto di favoreggiamento reale pone, invece, riferimento al prodotto, profitto o prezzo del reato quali res cui riferire la condotta atta ad assicurarli.

Con il d.lg. 21 novembre 2007, n. 231 è stato aggiunto l’art. 648-quater c.p., che – al comma 1 – ha reso obbligatoria (nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti per il delitto di riciclaggio, di reimpiego e, dal 1 gennaio 2015, di autoriciclaggio) la confisca dei beni che costituiscono il prodotto o il profitto di tali reati. Il comma 2 dello stesso art. 648-quater c.p. prevede, da allora, un’ipotesi di confisca per equivalente riguardo a somme di denaro, beni o altre utilità di cui il reo abbia la disponibilità, anche per interposta persona, per un valore equivalente al prodotto, profitto o prezzo del reato.

La legge finanziaria del 2008 32ha successivamente esteso ai delitti tributari di cui agli artt. 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter, 10-quater e 11 del d.lg. 10 marzo 2000, n. 74 l’ambito di applicazione dell’art. 322-ter c.p., rendendo così obbligatoria la confisca del prezzo e del profitto del reato ed estendendo la possibilità di procedere alla confisca “per equivalente”.

Sul piano dell’ermeneusi assistiamo, in parallelo al proliferare del diritto positivo in materia di confische, ad una trasfigurazione di ciò che fino a prima era stato ritenuto “equivalente”, e dunque ‘non proveniente da' reato. Tutto ciò che infatti era stato ritenuto un “equivalente” in termini di mero valore, verrà di poi considerato, in via diametralmente opposta, profitto del reato.

Tale percorso è contrassegnato da alcune fondamentali ‘tappe' che hanno condotto alla “confiscabilità diretta” del denaro in ragione della sua fungibilità assoluta, ben a prescindere dall’esistenza di un nesso di derivazione dal reato contestato 33. La S.C. ha sul punto affermato che «il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato» 34.

La prova della connessione immediata tra l’identificazione del quid confiscabile (asseritamente in via diretta) e l’individuazione del provento, l’avevamo già avuta allorquando le Sezioni unite ebbero ad esprimersi sui rapporti fra associazione di tipo mafioso e riciclaggio. Nell’occasione le stesse argomentarono – concependo il delitto di cui all’art. 416-bis c.p. quale reato presupposto dei reati accessori anzidetti – sulla scorta della qualificabilità in termini di provento di quanto confiscabile in via diretta ai sensi del comma 7 dello stesso articolo. Proprio la confiscabilità diretta del profitto del prezzo e del prodotto avrebbe costituito, infatti, la prova della qualificabilità del reato associativo come reato presupposto 35.

La metamorfosi così resa delle ipotesi di confisca “per equivalente” in altrettante ipotesi di confisca “diretta” ha recato un corto circuito logico-giuridico con riferimento ai reati oggetto del presente esame. A fronte di un qualsivoglia vantaggio economico-patrimoniale ottenuto con un reato tributario, l’atto successivo di disposizione compiuto su una qualsiasi disponibilità liquida perequabile viene considerato qualificabile come reato di riciclaggio o autoriciclaggio.

Tale approccio ermeneutico ha trovato terreno fertile nella risalente “teoria della contaminazione”, secondo cui, con specifico riguardo alle operazioni di versamento e prelievo che possono ordinariamente essere effettuate sui conti correnti bancari, si è ritenuto – ben prima dell’avvento dell’art. 648-ter.1 c.p. – di poter configurare il reato di riciclaggio facendo appunto leva sulla fungibilità del denaro e sull’effetto che deriverebbe dal versamento di una (anche esigua) parte di esso su un conto corrente “pulito”. L'irregolarità del deposito determinerebbe un effetto di trasferimento del denaro versato, recando inoltre una “contaminazione” del denaro “pulito” giacente sullo stesso conto corrente 36. Nulla quaestio, ovviamente, se la somma successivamente ricettata, riciclata o reimpiegata provenga da un conto corrente interamente costituito da immissioni di denaro di provenienza qualificata. L’argomentare appare però censurabile allorquando con esso si sostiene che il denaro, successivamente riutilizzato, possa generare – sempre e in ogni caso – una fattispecie accessoria. Ciò significa dilatare oltremodo i confini del fatto tipico; significa negare portata tipizzante allo stesso parametro normativo dettato dal riferimento alla specifica provenienza della res; conduce ad indulgere su una fictio ìuris non consentita 37.

Simile ‘flusso ermeneutico' risulta frutto di una chiara aberrazione sotto il profilo tecnico giuridico, in particolar modo ove, proprio in ambito di reati tributari, spesso chi è chiamato a risponderne non è soggetto che commette solo attività delittuose ma può ben essere persona (imprenditore individuale, lavoratore autonomo, azienda, etc. etc.) che, prima di tutto, svolge un’attività lecita. In questi casi risulta di tutta evidenza come considerare sempre la qualificabilità del cespite come profitto e/o come provento significhi, da un lato e in chiave di confisca, condurre ad una ablazione ‘del tutto e ovunque', dall’altro e in ottica di reati accessori,configurare sempre il ricorrere dell’ulteriore delitto. Ed infatti, riguardo alla confisca si tratta di decidere del destino, in termini di ablabilità o meno, di un cespite. Qui la ‘psicologia del tantundem' costituisce per il giudice una tentazione che, seppure ingiustificabile sul piano tecnico, si rivela quasi irresistibile, segnatamente ove egli debba decidere della sua restituzione o meno a fronte di una sopraggiunta prescrizione. Nel caso invece dei reati di riciclaggio e autoriciclaggio in particolare è in gioco la sussistenza stessa di una ulteriore responsabilità penale.

Per quanto riguarda in particolare la responsabilità ai sensi dell’art. 648-ter.1 c.p., essa diviene costantemente incombente sull’autore del reato presupposto a causa della presunzione iuris et de iure del ricorrere del provento. La prova contraria è diabolica, in quanto si guarda ai rapporti tra reato presupposto e reato accessorio esclusivamente in chiave economico finanziaria. Simile assetto, sia pure in stile moderno, riporta occultamente agli antichi e sempre aleggianti schemi della colpa d’autore 38, poiché, chi ha compiuto il reato presupposto, si trova costantemente dinanzi l’alto rischio di poter essere ulteriormente chiamato a rispondere, in ragione di una mera responsabilità antecendente. Per assurdo, tale dinamica potrebbe ripetersi anche per un numero infinito di volte.

Se salta il criterio del nesso di presupposizione agganciato ad una chiara identificazione del provento, non c’è più alcun limite. In ogni momento può esservi una ripetizione della contestazione di cui all’art. 648-ter.1 c.p. e tale aberrante dinamica è favorita anche dalla irrilevanza della intervenuta prescrizione del reato presupposto, in ragione del richiamo all’ultimo comma dell’art. 648 c.p.

Simile ‘stato dell’arte', oltre a comportare un’inibizione tendenzialmente in aeternum dell’utilizzo di ogni risorsa, è semplicemente incompatibile con i principi cardine di un sistema penale che voglia dirsi liberale.

4. ‘REATI ACCESSORI PERSONALI' E ‘REATI ACCESSORI REALI'

La tesi, attualmente in voga, della indiscriminata ammissione di tutti i delitti tributari nel novero dei reati presupposto del delitto di riciclaggio e autoriciclaggio reca una regula iuris che taglia ab initio ogni accesso al fatto nelle sue concrete modalità. Se, infatti, è vero che il preliminare accertamento di compatibilità tra reato presupposto e reato accessorio vada condotto in astratto sulla scorta della conformità del “titolo” del primo reato rispetto alla clausola di selezione presente nel secondo, è del pari vero come l’elemento della provenienza della res sia ben lungi dall’esaurirsi in questo. Non può infatti abolirsi il riferimento normativo alla ‘provenienza da' attraverso il ricorso alla certamente ampia zona di manovra delle “altre utilità”.

La necessità della verifica in concreto è dettata dalla definizione del provento sul piano della materialità del fatto, per come esso si presenta volta per volta nella sua irripetibile individualità. Ragionare diversamente sarebbe come elidere lo studio del concreto snodarsi del nesso di causalità nei reati di evento.

La necessità dell’abbattimento di qualsivoglia percorso presuntivo può essere ben rappresentata attraverso una divisio: esistono, infatti, alcuni reati accessori che prescindono dal prendere a proprio oggetto materiale una res e altri che, invece, annoverano detto requisito tra i propri elementi costitutivi.

Indicandosi i primi come ‘personali' e i secondi come ‘reali', si deve concludere come – ad esempio – sia il delitto di favoreggiamento personale (art. 378 c.p.) sia il delitto di assistenza agli associati (art. 418 c.p.) appartengano alla prima ‘sotto-categoria'. I detti illeciti, infatti, non richiedono, ai fini della loro configurabilità, alcuna res di qualificata provenienza. Per quanto in particolare attiene al favoreggiamento personale, la condotta favoreggiatrice mira a un’impunità che può – evidentemente – essere perseguita a fronte di qualsivoglia reato presupposto.

Quest’ultimo non deve invero avere speciali crismi, salvo risultare conforme alla clausola di selezione di cui all’art. 378 c.p. Il delitto di favoreggiamento personale, per struttura e funzione, può dunque anche presupporre qualsivoglia delitto tributario, in quanto ognuna delle figure criminose contemplate dal d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 può implicare lo sviluppo di un’azione antagonista volta a “eludere le investigazioni dell’Autorità” oppure a consentire di “sottrarsi alle ricerche di questa” (art. 378 c.p.).

Nelle fattispecie ‘accessorie reali' debbono invece ascriversi, oltre a quelle di riciclaggio e di autoriciclaggio, quelle di favoreggiamento reale (art. 379), di ricettazione (art. 648), di cd. “reimpiego” (art. 648-ter), di omessa denuncia di cose provenienti da delitto (art. 709) e di cd. “incauto acquisto” (art. 712 c.p.). Infatti, diversamente da ciò che accade nelle anzidette ‘personali', queste non richiedono un reato semplicemente commesso prima, ma si qualificano ulteriormente in ragione del ricorrere di una res che ne costituisce l’oggetto materiale. La condotta “accessoria” deve, nel loro caso, prendere ad oggetto proprio quel bene dotato di quella specifica e qualificata provenienza. Se, dunque, un reato può costituire il presupposto dei ‘reati accessori personali' in ragione del suo semplice essere inquadrabile nella selezione dettata dalla norma afferente al reato accessorio, per i ‘reati accessori reali' solo il reato che possa dirsi fonte del provento può svolgere questo ruolo, in quanto, altrimenti, non vi sarebbe l’oggetto materiale sul quale far ricadere la condotta 39. Per questi ultimi la formulazione della previsione incriminatrice ha struttura maggiormente complessa proprio a causa del riferimento al provento.

La provenienza qualificata della res, essendo a tutti gli effetti un elemento costitutivo del fatto tipico, deve materialmente esistere. Ove, infatti, la detta provenienza risulti carente, il reato accessorio reale viene a mancare già sul piano obiettivo, facendo difetto la materialità, oltreché l’offensività del fatto 40.

Ai fini della identificazione del reato fonte di un provento, deve osservarsi che esso può essere detto tale solo in due ipotesi: ove costituisca ‘la ragione della genesi' della res, oppure ove costituisca ‘la ragione del potere' esercitabile su di essa. Quanto alla prima ipotesi si può pensare, ad esempio, ai prodotti fabbricati attraverso lo sfruttamento minorile o mediante la riduzione in schiavitù, oppure anche più banalmente a tutti i reati di falso materiale, di falso nummario e simili. In questi casi può configurarsi un reato fonte in quanto il reato costituisce la ‘genesi della res'. Per quanto afferente invece alle seconda si può fare riferimento, ad esempio, a un fatto di estorsione, in quanto la condotta criminosa incide sulla disponibilità della res facendola giungere nelle mani dell’estorsore. In tali casi il reato non genera la res, ma costituisce la causa (patologica) della sua disponibilità.

Nonostante queste piane considerazioni, la tesi che in questa sede si censura si affida, assai banalmente, al ricorrere di due soli elementi: la compatibilità tra reato presupposto e clausola di selezione presente nella formula del reato accessorio e il ricorrere in concreto di una qualche utilitas.

Gli effetti di questa interpretatio abrogans risultano di palmare evidenza rispetto alle fattispecie di riciclaggio e autoriciclaggio. Per queste ultime, proprio in ragione di quanto premesso, la cd. “lecito-vestizione” può avere luogo – ed anche un senso – esclusivamente rispetto a ciò che ‘proviene da' delitto non colposo. Non ha evidentemente alcuna ragione di esistere, ai fini della configurabilità dei delitti di riciclaggio e autoriciclaggio, una lecito-vestizione di ciò che abbia già origine lecita.

L’opzione ermeneutica che conduce ad ammettere indiscriminatamente tutti i delitti tributari è, pertanto, figlia di una tensione smaccatamente nichilistica rispetto ai principi cardine vigenti in materia. Essa dà costante evidenza di violarli sia sul piano della regula iuris sia sul terreno della prova.

La rivisitazione, tutta in chiave semplificata, del nesso di presupposizione che regge l’intera materia, trova quale suo antecedente giurisprudenziale l’affermazione della superfluità del ricorrere stesso del reato presupposto con riferimento alla fattispecie del cd. “incauto acquisto”. A tale riguardo si è affermato possa essere sufficiente anche la mera violazione di una (indefinita) norma cautelare, per rendere inquadrabile un fatto nell’alveo dell’art. 712 c.p. Tale fattispecie sarebbe configurabile, lo si dice espressamente, anche a fronte di una lecita provenienza del bene 41. Simile approccio appare dimentico di tutti gli insegnamenti di quella dottrina che, già dalla prima metà del ‘900, aveva ammonito (attraverso dibattiti di estremo pregio e raffinatezza) come, riguardo al nesso tra reato presupposto e reato accessorio, «l’autonomia non può intendersi come indipendenza, giacché la materialità, la quale costituisce il delitto di favoreggiamento è un posterius, che presuppone un prius, senza del quale non può sussistere né avrebbe ragione di essere» 42. Il nesso di presupposizione o, appunto, di accessorietà «fonda la ragione prima del reprimere» il secondo delitto, condizionandone anche l’identificazione dello spettro di offesa 43. Il dogmatico e l’interprete dei nostri giorni non possono mancare di arricchire un simile prezioso bagaglio culturale attraverso principi anche di rango costituzionale, quali, primo fra tutti, quello di offensività. È di tutta evidenza come, in assenza di un qualsivoglia reato presupposto, la punibilità del fatto successivo rimanga affidata alla mera violazione di una norma cautelare, il cui eventuale ossequio avrebbe finito per scongiurare il compimento di un atto, non solo lecito, ma, prima ancora, totalmente inoffensivo.

Sul fronte probatorio, il segno del citato nichilismo è reso emblematicamente evidente dalla ritenuta sufficienza dell’acquisizione della denuncia o della querela in ordine all’accertamento incidentale sul reato presupposto ai fini dell’accertamento del reato accessorio 44. Spesso né il giudice, né le parti del processo per ricettazione o riciclaggio conoscono – e nemmeno si interessano – dell’esito del “processo presupposto”. Ebbene, se è vero che l’accertamento reso in ordine al reato presupposto nel “processo presupposto” costituisce sul piano processuale una res inter alios acta, è anche vero che il reato accessorio, richiedendo una provenienza illecita-qualificata della res, non può prescindere da un accertamento che, seppure incidentale, deve essere parimenti serio e puntuale in ordine all’effettivo ricorrere di tale elemento di fattispecie.

La mancata messa a punto di un’idea di rigore riguardo agli standard di accertamento del provento del reato presupposto è, ad un tempo, causa ed effetto di un annichilimento, anche sotto il profilo dogmatico e probatorio, dei requisiti di specifica qualità e sostanza dell’oggetto materiale derivante dal reato fonte.

Incentrare l’indagine solo su di un elemento già di per sé evanescente, quale appunto quello della “utilità di natura economica” – elidendo l’elemento della “provenienza da” delitto presupposto –svilisce anche i contenuti della condotta. La dizione “provenienti da” impone infatti che la res (o l'utilitas) sia previamente pervenuta grazie ad un “delitto non colposo” e che, di poi, proprio detto bene sia reso oggetto materiale del reato di (auto)riciclaggio.

Questo approccio nichilistico elide le categorie e le differenze, introducendo nel nostro sistema fattispecie di fonte giurisprudenziale che risultano immancabilmente atipiche, per il loro affidarsi, al più, ad una compatibilità temporale e volumetrica di valori finanziario-economici con il reato presupposto. Tali fattispecie si inverano sulla scorta di ricostruzioni ellittiche del fatto e in ragione di una chiara elusione di norme che, proprio di quel fatto, richiedono una approfondita analisi. La genericità e superficialità dei loro contorni legittima che si utilizzi a loro riguardo il nomen di ‘riciclaggio e autoriciclaggio per equivalente', al fine di riconoscerne la loro estraneità rispetto all’ambito di applicazione delle previsioni incriminatrici di cui agli artt. 648-bis e 648-ter.1 c.p.

Possono invece, e non necessariamente debbono, costituire provento ai nostri fini, sia il prodotto sia il profitto del reato sia il prezzo pagato per commetterlo, in quanto essi trovano in detto reato la causa in termini di “genesi della disponibilità” della res 45. Deve inoltre osservarsi che, nonostante il prodotto, il profitto o il prezzo del reato possano concretamente ricorrere, può ben darsi il caso che non siano in concreto identificabili come provento 46 . Conferma in tal senso giunge se si pone mente a quanti reati, generalmente idonei a produrre un illecito profitto (es. estorsione, truffa, usura), possano in concreto rivelarsi incompatibili con la successiva configurabilità del delitto di riciclaggio o di una qualsiasi altra fattispecie accessoria reale “e viceversa”. Non può essere riciclato il prodotto, il profitto o il prezzo ove siano costituiti, ad esempio, da una sentenza penale assolutoria oppure da una remissione di un debito; né ancora può essere identificato come provento una chiusura di un esercizio commerciale quale esito di un abuso di ufficio perpetrato da un pubblico ufficiale su mandato del titolare dell’esercizio concorrente. Pur trattandosi in tali casi di utilità tutte economicamente apprezzabili, non può configurarsi a loro riguardo un successivo fatto di (auto)riciclaggio, in quanto tali prodotti o profitti o prezzi non possono essere resi oggetto materiale della condotta tipizzata ai sensi degli artt. 648-bis e 648-ter.1 c.p.

Il riferimento alla provenienza obbliga pertanto l’interprete al superamento della mera analisi strutturale astratta o del mero titolo della fattispecie presupposto, imponendo sempre un vaglio in concreto dei relativi effetti. Una conferma sul punto giunge dall’esperienza afferente a tutte quelle fattispecie che non annoverano tra i propri elementi costitutivi un profitto, un prodotto o un prezzo e che, a un’indagine meramente strutturale, dovrebbero essere ritenute inidonee a fungere da presupposto del delitto di (auto)riciclaggio (come di ogni altro reato accessorio reale). Una tale indagine, limitata in tali termini, si rivelerebbe però non esaustiva (se non addirittura fuorviante) posto che, al contrario, tali fattispecie – a prescindere dalla loro struttura – possono in concreto generare un provento suscettibile di essere reso oggetto materiale di una successiva condotta accessoria reale. Si pensi, ad esempio, al delitto di omicidio doloso (art. 575 c.p.). Tale illecito, per come strutturato in astratto, è ben lontano dall’annoverare la genesi di un provento. È chiaro però come la prospettiva muti completamente ove esso sia eseguito su mandato oneroso 47 .

L’esistenza di un provento non può, dunque, essere esclusa o affermata se non attraverso un’indagine in concreto. Più immediatamente ai nostri fini, l’approccio indiscriminatamente ammissivo di tutti i reati tributari non è ammissibile, in quanto transita per la presunzione di un generale effetto di mutatio sanguinis del provento – da lecito a illecito – che è contraria alla norma e al principio di offensività, poiché l’autoriciclaggio e il riciclaggio dei proventi leciti, oltre a non costituire reato, è fatto chiaramente inoffensivo.

5. PROSPETTIVE ERMENEUTICHE PER UNA RIAFFERMAZIONE DEI CONTROLIMITI

Nel trarre le debite conclusioni in ordine al ruolo dei delitti tributari rispetto alle fattispecie in analisi deve,in primis,sottolinearsi come l’uso ‘indistinto' di nomina iuris–quali ad esempio quello della “frode fiscale”– abbia favorito la fatua e fuorviante pretesa dell’esistenza di ‘un solo reato' fiscale. Il nomen anzidetto, frutto della ormai estinta esperienza della previgente disciplina dell'‘82, è assente nella nomenclatura utilizzata dal d.lg. 10 marzo 2000, n. 74.

L’attuale assetto ordinamentale offre una pluralità di fattispecie tributarie, ognuna dotata di propria autonomia strutturale e funzionale. Secondo quanto indicato in premessa, in alcune di esse quali quella della omessa dichiarazione (art. 5 d.lg. 10 marzo 2000, n. 74), come anche quella di deduzione/detrazione di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 d.lg. 10 marzo 2000,n. 74), il risparmio di imposta difficilmente potrà mutare l’origine lecita del capitale. Ove, infatti, esso si esaurisca su un imponibile complessivo, il beneficio da esso determinato si riverbera in maniera indistinta e polverizzata su tutto il patrimonio di riferimento. In tali casi, pur ricorrendo certamente un’utilità economicamente apprezzabile, il reato reca un vantaggio di rango economico-finanziario diffuso, privo della capacità di identificare una res o comunque una specifica utilitas.Gli effetti del primo reato si riverberano ‘a pioggia' e in maniera polverizzata rendendosi fattualmente – oltreché giuridicamente – indistinguibili.

Per le stesse ragioni deve essere riconosciuta la fallacità della tesi integralmente ostativa alla ammissione dei reati tributari come reato presupposto. Anch’essa, infatti, inibisce la verifica in concreto, presumendo, stavolta in direzione diametralmente opposta, l’insussistenza del provento.

In tal senso giunge utile l’analisi sulle possibili implicazioni recate da una fattispecie quale quella della emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8). La contropartita eventualmente pagata per le fatture aventi ad oggetto operazioni inesistenti costituisce a tutti gli effetti per chi le ha emesse (e “vendute”) un arricchimento che non può certo essere identificato come “mero risparmio di imposta”. Si tratta per l’emittente di un vero e proprio provento del reato,in quanto il reato costituisce la ragione della disponibilità di essa in capo all’emittente. Nell’ottica di chi, invece, si avvale della fatturazione inesistente (art. 2), può al contrario costituire provento illecito specificamente identificabile il flusso eventualmente tornato ‘sottobanco'.

La verifica sulla identificabilità concreta del flusso richiede, dunque, un livello superiore di attenzione, anche perché un’operazione compiuta su denaro contante è altra rispetto a quella in cui le somme abbiano circolato solo in via virtuale attraverso il sistema bancario, oppure riguardo a ipotesi ove ricorra una diversa utilitas.Volta per volta deve indagarsi se l’illecito tributario preso a riferimento sia in grado di essere ricompreso in una delle due citate ipotesi di generazione del provento: creazione della res o trasmissione del potere di disposizione esercitabile su di essa. Tale passaggio riveste importanza cruciale nello scongiurare l’eventualità assai poco remota che il reato tributario sia letto ai presenti fini come un qualsivoglia reato ‘commesso prima' che generi un qualche effetto economicamente apprezzabile.

La ‘soluzione' alternativa,che in questa sede si censura, reca torsioni sul terreno della identificazione dei tratti essenziali della condotta di riciclaggio e di autoriciclaggio.Con essa una sorta di effetto domino conduce alla inibizione dell’indagine sul ricorrere o meno di concreti contenuti decettivi nella manovra.

Per questa via anche la fattispecie di cui all’art. 648-ter.1 c.p. – per la quale, come detto, il legislatore si è espresso nettamente sulla concreta idoneità dissimulatoria della condotta–vede vulnerato tale profilo identificativo. Pure esso finisce fatalmente per cadere in sospensione allorquando si prescinda da una seria verifica attorno all’effettivo ricorrere di una provenienza illecita. Non può infatti darsi luogo ad alcuna affermazione “oltre ogni ragionevole dubbio” di lecito-vestizione ove ricorra l’eventualità che la res possa essere già a pieno diritto di lecita provenienza. Porre nel nulla la verifica del nesso rispetto all’illecito presupposto porta l’indagine verso, al più, una mera idoneità in astratto della natura dissimulatoria della condotta. Infatti più la ricerca dell’elemento della provenienza qualificata della res viene omessa, più la ricostruzione del cd. “paper trail“diviene una mera parvenza. Rinunciandosi al rigore sul ‘presupposto primo', fatalmente vengono pretermessi anche i tratti della condotta, con l’effetto che, ad onta della formula adottata per l’art. 648 ter.1 c.p.,anche il delitto di autoriciclaggio rischia di cadere nel ‘baratro della neutralità.'

Alla luce di tutto quanto in questa sede rassegnato, può dirsi che, fino a quando non sarà dato rinvenire nelle motivazioni dei provvedimenti giudiziari disamine accorte e approfondite sul segno e sul verso dei flussi dei capitali, vorrà dire che si starà aderendo a una concezione lato sensu finanziaria del delitto, mediante una ricostruzione dell’oggetto materiale in termini di mera compatibilità di valore tra quanto afferente agli effetti del reato presupposto e quanto relativo al preteso reato accessorio. Fino ad allora saremo nel limbo del riciclaggio e dell’autoriciclaggio “per equivalente”.

La ‘artificiale' neutralità dei reati di cui agli artt. 648 bis e 648 ter.1 c.p.,unita alla lettura del provento in termini esclusivamente finanziari, reca una sorta di sequestro generale ex lege sull’intero patrimonio interessato dal reato tributario e, dunque, l’inibizione di qualsivoglia successivo utilizzo delle risorse.

La via che si censura reca dinamiche di ascrizione del delitto di autoriciclaggio tipiche della colpa d’autore. Una volta commesso il reato tributario,la prova sulla liceità del flusso utilizzato per la successiva operazione diviene diabolica e conduce il responsabile del detto reato presupposto sul crinale di una inevitabile ulteriore responsabilità.

In questo quadro,i principi cardine violati sono quelli della tassatività e dell’offensività. La spinta verso l’indifferenziata inclusione di tutti i reati tributari nell’alveo della punibilità dei delitti di riciclaggio e di autoriciclaggio trascura colpevolmente i cardini che reggono l’intera ‘materia' dei reati accessori.

Per scongiurare simili derive,l’approccio metodologicamente corretto, in grado di offrire una selezione seria ed affidabile dei fatti di riciclaggio e autoriciclaggio ‘da reato tributario',rimane sempre quello del rispetto del vincolo della norma.

Le scorciatoie percorse dai recenti indirizzi ermeneutici conducono, infatti, alla elisione di quel nesso di presupposizione che,per diritto positivo e per logica, deve sempre intercorrere tra reato presupposto e reato accessorio. Attraverso le dette scorciatoie il ‘diritto vivente' invera fattispecie ibride quali quelle del riciclaggio e autoriciclaggio “per equivalente”.Si tratta di figure criminose che, chiaramente atipiche, sono fuori dal nostro sistema penale.

Nella sede internazionale,in linea con questa ‘riscoperta’del testo normativo, dovremmo allora segnalare che non faremo altro che applicare le norme vigenti. Nell’aver cura di prestare ossequio ai loro vincoli,esamineremo sempre il caso concreto nelle sue effettive peculiarità,in quanto anche la “gravità” dei fatti di riciclaggio e di autoriciclaggio non può essere oggetto di presunzioni.Anche l’offesa da essi recata presenta connotati di indiscutibile variabilità in ragione della ‘quantità’e‘qualità’del reato presupposto.


  1. L’art.648 - ter. 1 c. p. è entrato in vigore il 1 gennaio 2015, con la l.15 dicembre 2014, n. 186, recante “Disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero nonché per il potenziamento della lotta all’evasione fiscale.Disposizioni in materia di autoriciclaggio”, in G.U., serie gen., 17 dicembre 2014, n. 292. ↩︎

  2. L’art. 648 - bis c.p. è stato aggiunto dall’art. 3, del d.l. 21 marzo 1978, n. 59, recante " Norme penali e processuali per la prevenzione e la repressione di gravi reati” in G.U., serie gen., 22 marzo 1978, n. 80. Sulla genesi e sulle ‘funzionalità' della previsione incriminatrice, sia consentito il riferimento a S. FAIELLA, L’integrazione europea nella disciplina antiriciclaggio, in Giustizia penale (La), 2001, n. 4, parte 2, p. 233 ↩︎

  3. Secondo la formula di cui al d. l. 21 marzo 1978 n. 59, conv. dalla l. 18 maggio 1978, n. 198, l’art. 648 - bis c.p. era del seguente tenore: « Fuori dai casi di concorso nel reato, chiunque compie atti o fatti diretti a sostituire denaro o valori provenienti dai delitti di rapina aggravata, di estorsione aggravata, o di sequestro di persona a scopo di estorsione, con altro denaro o altri valori, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto o di aiutare gli autori dei delitti suddetti ad assicurarsi il profitto del reato, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni e con la multa da Lire un milione a Lire venti milioni. Si applica l’ultimo comma dell’articolo precedente». ↩︎

  4. Il reato poteva essere compiuto o «… al fine di procurare a sé o ad altri un profitto» o «di aiutare gli autori dei delitti suddetti ad assicurarsi il profitto del reato …». ↩︎

  5. Negli Stati Uniti, la cui esperienza costituisce il riferimento internazionale indiscusso nella repressione del riciclaggio, il delitto di money laundering, fattispecie unica e indistinta rispetto a quella del self laundering, è stato inserito nello U.S.C., nell’ormai lontano 1986,quale strumento fondamentale della war on drugs (§§ 1956 e 1957 U.S.C.). Siamo ben lontani dal fuorviante approccio ‘patrimonialistico' nostrano,che, già dal'90, con l’inserimento dei delitti di produzione e traffico di stupefacenti nel novero dei reati presupposto, aveva affermato la piena operatività della previsione incriminatrice pur a fronte di proventi che nulla avevano a che fare con la lesione del patrimonio. ↩︎

  6. Con l’art. 23, l.19 marzo 1990, n.55, recante " Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale “, in G.U., serie gen., 23 marzo 1990, n. 69, fu: sostituita la rubrica dell’art. 648 - bis c.p. con il nomen “Riciclaggio”; ampliato il novero dei reati presupposto (furono aggiunti i " delitti concernenti la produzione o il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope “); modificata la descrizione della condotta (fu prevista la punibilità, infatti, della sostituzione del “denaro, beni o altre utilità” provenienti dai suddetti delitti,” con altro denaro, altri beni o altre utilità ovvero ostacola l’identificazione della loro provenienza dai delitti suddetti (…)"). ↩︎

  7. L. 9 agosto 1993, n. 328, in G.U., serie gen., 28 agosto 1993 n. 202,suppl. ord. n.80 ↩︎

  8. La giurisprudenza della suprema Corte ha di fatto sublimato i contorni obiettivi della fattispecie sul tema della condotta. Ad esempio, affermando che non escluderebbe il riciclaggio la circostanza che l’accertamento della provenienza illecita della res sia agevole (Sez.II, 13 ottobre 2009, n. 44043, Lanzino, in C.E.D. Cass., n. 245625). V. sul punto, in particolare sulla identificabilità in concreto di una sostituzione della res come tale ritenuta da sola sufficiente ai fini della configurazione della fattispecie di cui all’art. 648 bis c.p., anche Sez.II, 12 gennaio 2006, n. 2818, Caione, ivi, n. 232869; Sez.II, 18 dicembre 2007, n. 16980, Gocini, ivi, n. 239844; Sez.II, 17 febbraio 2009, n. 11895 Veroggio, ivi, n. 244379, Sez.VI, 15 ottobre 2008, n. 495, Argiri Carrubba, ivi, n. 242372. In questi dicta la S.C. ha più volte affermato costituirebbe riciclaggio anche la mera monetizzazione presso un istituto di credito di un assegno di provenienza illecita, atteso che la somma di danaro ricevuta in sostituzione del suddetto titolo appare formalmente di provenienza lecita. In altra occasione, lungo una linea di pensiero che quantomeno dichiara di ricercare ai fini della configurazione della fattispecie i contenuti dissimulatori della condotta, l’ostacolo richiesto dalla norma è stato ravvisato nella rapida polverizzazione dei fondi in più rivoli e nel coinvolgimento di più persone. Si è ritenuta altresì la tipicità del riciclaggio mediato, ossia il trasferimento di denaro di provenienza delittuosa da un conto corrente a un altro diversamente intestato o in un altro istituto di credito (Sez. II, 6 novembre 2009, n. 47375, Di Silvio, in DeJure). ↩︎

  9. Per la configurabilità del il riciclaggio con dolo eventuale, v. Sez. II, 23 ottobre 2018, n. 56633, in Neldiritto.it. Per la giurisprudenza più risalente v. G.i.p. Milano, 29 ottobre 2008, in Foro ambr., 2008, p.406; G.i.p. Palermo, 21 aprile 2009, in Giur. merito, 2009, p. 2825. Esso viene ravvisato anche nel dubbio concernente la sussistenza del reato presupposto e nel suo superamento mediante accettazione del rischio. Ciò potrebbe può verificarsi anche nel caso in cui il dubbio riguardi il superamento delle “soglie di rilevanza” da cui dipende la tipicità del reato presupposto, come avviene negli illeciti tributari e nel falso in bilancio. ↩︎

  10. In questi termini CARRARA, Ricettazione dolosa di cose furtive, in Opuscoli di diritto criminale, III, V ed., Firenze, 1898, p. 428. Secondo l’Autore il fatto di ricettazione meritava, appunto, autonomia rispetto alla complicità nel fatto presupposto. Per la dottrina recente, sull’evoluzione del reato di favoreggiamento, ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, parte speciale, II, XIII ed., Milano, 2000, p. 484 ss.. V. anche, in tema di ricettazione, F.MANTOVANI, Diritto penale, parte speciale, Delitti contro il patrimonio, II, Padova, 2018, p. 248. Quest’ultimo Autore sottolinea come la storia della ricettazione sia stata caratterizzata da un lungo percorso di emancipazione rispetto al concorso nel reato presupposto. Tale commistione deriverebbe da un probabile fraintendimento di quanto anticamente si intendeva con il brocardo «par crimen est rapere et raptam rem servare; receptores non minus delinquunt quam aggressores». Probabilmente con il medesimo si operava una equiparazione semplicemente quoad poenam. Invece, la perequazione integrale anche quoad factum è giunta fino ai giorni nostri. Secondo, ad esempio quanto disposto dal Regolamento dello Stato Pontificio, ancora nel 1932, la ricettazione era considerata complicità. Invero, la scissione del reato accessorio dal reato presupposto si afferma proprio per qualificare diversamente i fatti che non possono costituire concorso nel fatto fonte. Come è stato osservato dallo stesso Autore, tale scissione si invale attraverso un approccio allo studio del tema sempre più svincolato da una valutazione in chiave “mistica” e “di peccato” del fatto commesso che ne aveva, inizialmente,favorito un’assimilazione alla responsabilità per il reato fonte. ↩︎

  11. La ricostruzione delle diverse fasi che hanno condotto alla loro autonomizzazione non è agevole. Per lungo tempo si è ritenuto che la loro assimilazione al concorso nel reato fosse un portato della tradizione romanistica, e, ancor prima, dell’antico diritto greco. In tal senso, come osservato in dottrina (F. MANTOVANI, Diritto penale, parte speciale, Delitti contro il patrimonio, II, cit., p. 247 ss..), venne data lettura di antichi brocardi: «crimen non dissimile est rapere, et ei qui rapuit raptam rem, scientem delictum, servare»,oppure: «receptores non minus delinquunt quam aggres - sores». Venne, così, elaborata dai post - glossatori la triplice distinzione dell’auxilium inteso come forma di compartecipazione nel reato: le condotte indicate, qualificate come auxilium post delictum, vennero considerate al pari dell’au - xilium ante delictum e dell’auxilium in delicto. Una simile impostazione, scaturita da un approccio non certo “laico” allo studio del tema del “contatto” con il reo, influenzò lo sviluppo del diritto comune dell’epoca medievale, fino a condizionare lo studio dei criminalisti dell'800. In quest’ottica, sia coloro che nascondevano i delinquenti o, comunque, li aiutavano a sottrarsi alle investigazioni o alle ricerche delle Autorità, quanto coloro che acquistavano da questi (o ne nascondevano) gli strumenti, il prodotto, il prezzo o il profitto del reato commesso, venivano considerati veri e propri complici. Il ricettatore, in particolare, veniva parificato al ladro, in quanto ne portava a compimento il proposito facendo conseguire a questi l’illecito profitto. In dottrina, è apprezzabile un’inversione di questa tendenza alla parificazione del titolo delle responsabilità già dagli inizi del diciannovesimo secolo grazie soprattutto all’opera del Nani (T. NANI, nei suoi Principii di giurisprudenza criminale, è citato da A. PIERRI, La ricettazione secondo il Codice penale italiano, Napoli, 1904,in nota n.1 p.4. Per interessanti raffronti di carattere comparatistico dell’epoca, v. anche B. ALIMENA, Favoreggiamento e ricettazione, in Giust.pen., I, 1896, c. 1233; G.LETO, Il reato di ricettazione, Palermo, 1896; G. SAVIOTTI, Crimen receptatorum, nell’Archivio giuridico, 1895, p. 353). Nel codice parmense (1820), ad esempio, al comma 2 dell’art. 243, collocato nella sezione IV (Della fuga de' di tenuti, e dell’occultamento de' delinquenti), capo III (Della ribellione contro giustizia, della disobbedienza, e delle altre mancanze contro la pubblica autorità), titolo III (De' crimini e delitti contro l’interesse pubblico e la pubblica tranquillità), parte I (De' crimini e delitti contro l’ordine pubblico), libro II, trovava esplicito riconoscimento l’autonomia della condotta favoreggiatrice. L’art. 243, infatti, dopo aver preveduto, al comma 1, la condotta favoreggiatrice per i carcerieri o custodi, prevista addirittura nella formcolposa (scomparsa nelle successive codificazioni), prevedeva quanto segue al comma 2: “Coloro che non incaricati della guardia o custodia di tali detenuti abbiano procurato o facilitato la loro fuga, saranno puniti con prigionia non maggiore di tre mesi”. Per quanto riguarda la ricettazione v. art. 461, sezione III (Furti semplici, truffe, e abusi di confidenza), capo I (De' furti), titolo II (De' crimini e delitti contro la proprietà), parte II (Crimini e delitti contro i privati), libro II, il testo era il seguente: «Coloro che con iscienza acquistata dopo il crimine o il delitto della vera derivazione di cose procedenti da furto, truffa o abuso di confidenza, le avranno ricettate, ossia ricevute, smaltite, o comprate, e i loro complici, saranno puniti con un grado di pena immediatamente inferiore a quella dovuta all’autore del crimine o delitto,in modo però che essendo l’autore punibile di reclusione, il ricettatore non sia condannato a meno di una anno di prigionia, ed essendo in vece punibile di pena correzionale, questa venga applicata al ricettatore in grado non maggiore del minimo né inferiore della metà del minimo stesso». Quanto al diritto positivo,tracce evidenti dell’avvio di questo percorso di autonomizzazione sono rinvenibili nella legislazione preunitaria, seppure ancora nel 1932 il Regolamento dello Stato pontificio continuerà a considerare il ricettatore alla stregua di un vero e proprio complice. ↩︎

  12. Secondo, ad esempio, la Commissione Ministeriale Greco costituita con decreto del Ministero della Giustizia del 18 gennaio 2013, si sarebbe dovuto inserire sia la fattispecie di riciclaggio sia quella di autoriciclaggio in un unico costituendo art. 517-sexies c.p. da collocare in un apposito capo concernente i “Delitti contro l’ordine economico e finanziario” ↩︎

  13. Per tornare all’esperienza statunitense, proprio la chiarezza della distinzione ha reso da sempre pienamente punibili i fatti di autoriciclaggio. In quel contesto, viene ricondotta al mero money spending qualsivoglia operazione compiuta su beni di provenienza illecita che non abbia idoneità decettiva. La previsione cardine in materia di riciclaggio [18 U.S.C. 1956 (a) (1)] si ritiene incrimini solo la condotta di chi ponga in essere operazioni atte a nascondere o a confondere la fonte o la natura dei proventi. Sono, pertanto, escluse dall’ambito applicativo della anzidetta fattispecie le cd. ordinary commercial transactions costituite dal semplice utilizzo del denaro. Proponiamo una traduzione delle direttive ufficiali del Department of Justice (USAM Title 9-105.100) sul Money Laundering Control Act del 1986: ↩︎

  14. Se un merito può certamente essere riconosciuto ad una simile riforma, esso consiste nell’aver scongiurato l’accesso all’altra opzione normativa, che pure era stata prospettata, quella della introduzione nel nostro ordinamento del delitto di riciclaggio colposo. Una tale ‘soluzione' avrebbe certamente recato grave conflitto con la tutela del legittimo affidamento nei traffici economici. Tutta la sequela degli obblighi di segnalazione e di adeguata verifica della clientela, avrebbe comportato, assai facilmente, una responsabilità di posizione in capo a tutti coloro che ne fossero onerati. Avrebbe infatti dominato una ‘presunzione di colpa' in capo a questi ultimi,ogni qual volta,con l’ineffabile senno del poi, si fosse ritenuta violato uno qualsivoglia di detti obblighi. ↩︎

  15. Questa strada poneva all’attenzione del legislatore la questione del vaglio del principio del Nemo tenetur se detegere. Esso assumeva ruolo tanto maggiormente consistente quanto più l’idoneità verso l’effetto di ostacolo alla identificazione della provenienza della res fosse riconosciuto quale cuore pulsante dell’intera figura criminosa,in quanto evocava temi assai simili a quelli afferenti alla non punibilità dell’autofavoreggiamento (art.384 c.p.). Come, da questo punto di vista, era corretto che fosse, la via della punizione dell’autoricicaggio non è stata ritenuta preclusa dal principio del Nemo tenetur se detergere, in ragione del difetto di un diretto allineamento tra condotta di autoriciclaggio ed esercizio del diritto di difesa in sede ‘extra-processuale'. Si tratta di un principio che, in sede procedimentale o processuale,vale fino a quando, ad esempio, l’indagato o l’imputato che decida di difendersi “parlando”, non comporti una falsa testimonianza o una calunnia. Fattispecie queste pienamente operative, ogni qual volta il dire il falso si esprima nell’artata attribuzione a terzi della responsabilità penale per un determinato fatto (cfr. art. 64, lett. c) c.p.p.).Il contegno difensivo del responsabile del reato presupposto, incontra altrettanti limiti nella sede “extraprocedimentale” ed “extraprocessuale”. Al riguardo può segnalarsi il delitto di omissione di soccorso (art.593 c.p.) finalizzato al sottrarsi alla responsabilità per reati quali quello di lesioni personali colpose (590 c.p.) o di omicidio colposo (589 c.p.). Del pari si configura una rapina impropria, e non un semplice furto, ove la violenza o la minaccia siano poste in essere dopo la sottrazione del bene per procurare a sé stessi l’impunità (628, comma 2, c.p.). Il principio in questione non è invocabile nemmeno nell’occultamento di cadavere. Come è noto, nel reato di omicidio, il cadavere della vittima costituisce una delle fonti più importanti di prova per l’accertamento del fatto. Nonostante, l’interesse dell’omicida all’occultamento anzidetto, la condotta in questione è penalmente avversata dall’ordinamento (art. 412 c.p.). Allo stesso modo costituisce un aggravante speciale del reato di omicidio doloso (art. 575 c.p.) la commissione del fatto da parte del latitante “per sottrarsi all’arresto, alla cattura o alla carcerazione …” (art. 576 c.p.). Del pari, se la procurata inosservanza di pena (art. 390 c.p.) non può applicarsi al condannato, è, invece, a questi applicabile il reato di evasione ove riesca a fuggire dal carcere (art. 385 c.p.). Più diffusamente, sul punto, sia consentito il rinvio a S. FAIELLA, Riciclaggio e crimine organizzato transnazionale, Milano, 2009, p. 304 ss. La giurisprudenza è di poi giunta ad affermare che la dichiarazione dei redditi deve essere presentata anche da chi svolge una attività illecita. V. sul punto Sez.III, 22 novembre 2017, n. 53137, Cecchini, in C.E.D. Cass., n. 269729. Prima di tale dictum, sempre sulla linea per cui l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi integra il reato di omessa dichiarazione (art.5) anche quando abbia ad oggetto redditi di provenienza illecita: Sez.III, 7 ottobre 2010, n. 42160, Violi, ivi, n. 248729, a mente della quale integra il delitto in esame l’omessa dichiarazione dei redditi derivanti dall’attività di sfruttamento dell’altrui prostituzione, in quanto ogni provento, anche illecito,rappresenta reddito tassabile, la cui mancata indicazione nella dichiarazione annuale costituisce reato; Sez. V, 19 novembre 2009, n. 7411, Di Lorenzo, ivi, n. 246095, con riguardo a redditi provenienti da attività distrattiva compiuta su disponibilità finanziarie di società fallita. Sul ‘principio di diritto' secondo il Nemo tenetur se detergere sarebbe recessivo rispetto all’obbligo di concorrere alle spese pubbliche ex art. 53 Cost., dichiarando tutti i redditi prodotti. V., in tal senso, Sez.V civ., 24 febbraio 2016, n. 3580 (Sez. V civ.,30 settembre 2011, n.12697). Secondo l’indirizzo espresso dalla S.C. non sarebbe configurabile nemmeno la violazione dell’art. 6 C.E.D.U. Tale riferimento normativo afferente al diritto a tacere per non autoincriminarsi, opererebbe esclusivamente nell’ambito di un procedimento penale già attivato, stante la sua ratio consistente nella protezione dell’imputato da coercizioni abusive da parte dell’autorità, cosa che nei casi in questione non ricorrerebbe. Se è normativamente stabilita la tassabilità dei proventi illeciti, anche delittuosi, ciò non potrebbe però implicare ad avviso di chi scrive il superamento di ogni remora anche in ordine all’obbligo di dichiarazione in quanto in questi casi si sanziona direttamente e immediatamente una mancata autodenuncia ↩︎

  16. La formula della previsione incriminatrice del riciclaggio e dell’autoriciclaggio avrebbe potuto essere la seguente: «Chiunque compie operazioni in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 5000 ad euro 25000». ↩︎

  17. Tale effetto sarebbe stato assicurato, a prescindere da una più mite definizione del quadro edittale, dal regime dettato la continuazione ex art. 81 cpv. Essa, peraltro, sempre avrebbe dovuto operare in tali casi ove ritenuta abolitiva dell’aggravante teleologica di cui all’art. 61 n. 2 c.p., a seguito della novella di cui al d.l. 11 aprile 1974, n. 99, conv. nella l. 7 giugno 1974, n. 220 (art. 8). ↩︎

  18. V. sul punto, D. BRUNELLI, Autoriciclaggio: profili del concorso di persone, in Punire l’autoriciclaggio, Come, quando e perché, nonché i contributi pubblicati nello stesso volume, a cura di E. Mezzetti e D. Piva, Torino, 2016, p. 19 ss.; A. GULLO, Realizzazione plurisoggettiva dell’autoriciclaggio: la Cassazione opta per la differenziazione dei titoli di reato, nota a Sez. II, 17 gennaio 2018, n. 17235, Tucci, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., 11 giugno 2018. ↩︎

  19. V. sul punto, D. BRUNELLI, Autoriciclaggio: profili del concorso di persone, in Punire l’autoriciclaggio, Come, quando e perché, nonché i contributi pubblicati nello stesso volume, a cura di E. Mezzetti e D. Piva, Torino, 2016, p. 19 ss.; A. GULLO, Realizzazione plurisoggettiva dell’autoriciclaggio: la Cassazione opta per la differenziazione dei titoli di reato, nota a Sez. II, 17 gennaio 2018, n. 17235, Tucci, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., 11 giugno 2018. (22) W. WUNDT, Ethik, 1886, p. 266. V., in argomento, F. D’ALESSANDRO, Il delitto di autoriciclaggio (art. 648-ter.1 c.p.), ovvero degli enigmi legislativi riservati ai solutori " più che abili, in Il nuovo volto della giustizia penale, a cura di G.M. Baccari - K. La Regina - E.M. Mancuso, Padova, 2015, p. 3 ss.; A.M. DELL’OSSO, Il reato di autoriciclaggio: la politica criminale cede il passo a esigenze mediatiche e investigative, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2015, p. 797 ss.; F. MUCCIARELLI, Qualche nota sul delitto di autoriciclaggio, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., 1/2015, p. 108 ss.; C. PIERGALLINI, Autoriciclaggio, concorso di persone e responsabilità` dell’ente, un groviglio di problematica ricomposizione, in Criminalia, 2015, p. 539 ss.; S. SEMINARA, Spunti interpretativi sul delitto di autoriciclaggio, in Dir. pen. proc., 2016, p. 1631 ss.; F. SGUBBI, Il nuovo delitto di “autoriciclaggio”: una fonte inesauribile di “effetti perversi” dell’azione legislativa, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., 1/2015, p. 137 ss. ↩︎

  20. Sul punto, A. GULLO, Autoriciclaggio e reati tributari, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., 13 marzo 2018. L’Autore cita al riguardo Sez. II, 14 luglio 2016, n. 33074, in C.E.D. Cass., n. 267459 ↩︎

  21. Il riferimento è sia alle Direttive 2001/97/CE e 2005/60/CE, per sia alla Direttiva U.E. 2015/849 che in linea con le quaranta Raccomandazioni del febbraio 2012, all’Art. 3, comma 4, lett. f) fa menzione di «tutti i reati, compresi i reati fiscali relativi a imposte dirette e indirette, quali specificati nel diritto nazionale, punibili con una pena privativa della libertà o con una misura di sicurezza privativa della libertà di durata massima superiore ad un anno ovvero, per gli Stati membri il cui ordinamento giuridico prevede una soglia minima per i reati, tutti i reati punibili con una pena privativa della libertà o con una misura di sicurezza privativa della libertà di durata minima superiore a sei mesi». Per la dottrina, in argomento, v. A.M. MAUGERI, L’autoriciclaggio dei proventi dei delitti tributari: ulteriore espressione di voracità statuale o utile strumento di politica criminale?, in Punire l’autoriciclaggio. Come, quando e perché, a cura di E. Mezzetti e D. Piva, Torino, 2016, p. 102 e V. MONGILLO, Confisca (per equivalente) e risparmi di spesa: dall’incerto statuto alla violazione dei principi, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2015, p. 735, nota 49. ↩︎

  22. V. in argomento, F. DI VIZIO, Il prodotto “dimenticato” dei reati di riciclaggio. Relazione per la Scuola di Specializzazione per le professioni Legali dell’Università di Firenze, Firenze, 13 dicembre 2018. Testo aggiornato della relazione tenuta al corso “La ricchezza di fonte illecita e le indagini finanziarie di nuova generazione”, Scuola Superiore della Magistratura (Castelpulci, 18 ottobre 2018). ↩︎

  23. V. p. 4 ss. delle dette Istruzioni del 2001 ove si è scritto che “In materia tributaria, il d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, rivisitando le sanzioni penali, ha ridotto il novero dei “delitti fiscali” ‒ che, in quanto tali, configurano reati presupposto del riciclaggio ‒ a un ristretto numero di fattispecie gravi”. In dottrina, S. GIAVAZZI, I reati societari e fiscali quali reati-presupposto del riciclaggio, in Riciclaggio e imprese. Il contrasto alla circolazione dei proventi illeciti, a cura di S. Giavazzi e M. Arnone, Milano, 2011, p. 103. ↩︎

  24. V., in argomento, V. MAIELLO, Prove di resilienza del nullum crimen: Taricco versus contro limiti, in questa rivista, 2016, 2, p. 1258 ss.; A. MANNA, Il difficile dialogo fra Corti Europee e Corti Nazionali nel diritto penale: analisi di due casi problematici (Taricco e Contrada), in Arch. pen., fasc. 3, 2016. ↩︎

  25. V., sul punto, R. CORDEIRO GUERRA, Reati fiscali e autoriciclaggio, in Rass. trib., 2016, p. 317 s., L. TROYER - S. CAVALLINI, Apocalittici o integrati? Il nuovo reato di autoriciclaggio: ragionevoli sentieri ermeneutici all’ombra del “vicino ingombrante”, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., 1/2015, p. 105. ↩︎

  26. La modifica è avvenuta con d.l. 13 agosto 2011, n. 138, conv., con modif., dalla l. 14 settembre 2011, n. 148. Il testo dell’art. 17 del d.lg. 10 marzo 2000, n. 74 rubricato “Interruzione della prescrizione”, è oggi il seguente: «1. Il corso della prescrizione per i delitti previsti dal presente decreto è interrotto, oltre che dagli atti indicati nell’articolo 160 del codice penale, dal verbale di constatazione o dall’atto di accertamento delle relative violazioni. 1-bis. I termini di prescrizione per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 del presente decreto sono elevati di un terzo». Comma aggiunto dall' art. 2, comma 36-vicies semel, lett. l), d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla l. 14 settembre 2011, n. 148; per l’applicazione di tale disposizione, vedi comma 36-vicies bis del predetto art. 2, d.l. n. 138/2011. ↩︎

  27. Decreto legge recante “Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili”, conv. dalla l. 19 dicembre 2019, n. 157 in G.U. serie gen., 24 dicembre 2019, n. 301. ↩︎

  28. D.l. 10 luglio 1982, n. 429, recante “Norme per la repressione della evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria”, cd. “Manette agli evasori”, in G.U., serie gen., 13 luglio 1982, conv., con modif., dalla l. 7 agosto 1982, n. 516, in G.U., serie gen., 7 agosto 1982, n. 216. Secondo l’assetto normativo all’epoca vigente, gran parte dei reati tributari, in quanto incentrati per buona parte su condotte prodromiche alla sottrazione di imposta e dunque in massima parte solo orientati verso una (possibile) evasione erano strutturati quali figure di reato di pericolo, di ostacolo o di sospetto. Per tale loro struttura e, ancor più,per il titolo contravvenzionale della responsabilità che ne derivava, erano inidonei a fungere da presupposto del delitto di cui all’art. 648-bis c.p. In base a tale previgente disciplina assumevano penale rilevanza una serie di irregolarità minori: dall’omessa fatturazione, all’omessa annotazione di corrispettivi, all’omessa indicazione di nomi immaginari sul 740, fino alle inesatte indicazioni delle somme corrisposte ai sostituti. Fu in particolare l’enorme crescita del numero dei processi penali rilevata all’epoca anche in ragione della penale rilevanza di fatti connotati da scarsa offensività, condusse al varo della riforma del diritto penale tributario attraverso il d.lg. 10 marzo 2000, n. 74. ↩︎

  29. In questi termini, per una sintesi argomentativa di questo percorso ermeneutico: Sez. II, 17 gennaio 2012, n. 6061, Gallo, in C.E.D. Cass., n. 252701. V. anche, in argomento, Sez. II, 30 gennaio 2018, n. 11836, Malangone, in C.E.D. Cass., n. 648653; Sez. II, 3 ottobre 2012 n. 42120, Caravelli, in Dir. e giust., 2012, 31 ottobre, con nota di DI GIACOMO, È confiscabile qualunque illecito risparmio di imposta tra cui è ricompresa anche l’elusione del pagamento degli interessi e delle sanzioni amministrative sul debito tributario. Contro la tesi della asserita riconducibilità del reato tributario nel novero dei delitti presupposto, prima della riforma varata con il d.lg. 10 marzo 2000, n. 74: B. ASSUMMA, Riciclaggio di capitali e reati tributari, in Rass. trib., n. 11/1995, p. 1795. Per la dottrina ‘post-riforma', v. G. FIANDACA - E. MUSCO, Diritto penale, parte speciale, II, IV ed., Bologna. 2013, p. 244; A. COSSEDDU, Relazione al Convegno Normativa antiriciclaggio - 2° Convegno sull’evoluzione del quadro regolamentare e i connessi aspetti procedurali operativi, Sassari 18 febbraio 2011, in http://www.bancaditalia.it/UIF/pubblicazioni-uif/normativa-antiriciclaggio 2 - convegno. Per la giurisprudenza, v. G.i.p. Trib. Milano, Ufficio G.i.p., ord. 19 febbraio 1999, in Foro ambr., 1999, con nota di G. FLORA, Sulla configurabilità del riciclaggio di proventi da frode fiscale, 441 ss.; G.M. FLICK, Le risposte nazionali al riciclaggio di capitali. La situazione in Italia, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1992, p. 1292; G.M. FLICK, La repressione del riciclaggio ed il controllo della intermediazione finanziaria. Problemi attuali e prospettive, ivi, 1992, p. 1264; GROSSO, Frode fiscale e riciclaggio: nodi centrali di politica criminale nella prospettiva comunitaria, ivi, 1992, p. 1279; F. HINNA DANESI, Proventi da frode fiscale e riciclaggio, in Il fisco, n. 40/1995, p. 9758; M. ZANCHETTI, voce Riciclaggio, in Dig. d. pen., vol. XII, Utet, 1997, p. 211; ID., Il riciclaggio di denaro proveniente da reato, Milano, 1997, p. 408 ss.; ID., Il contributo delle organizzazioni internazionali nella definizione delle strategie di contrasto al riciclaggio, a cura di Manna, Riciclaggio e reati connessi all’intermediazione mobiliare, Torino, 2000, p. 8. ↩︎

  30. In dottrina, su questa linea “ammissiva”, v. M. ANGELINI, voce Riciclaggio, in Dig. d. pen., Aggiornamento, t. II, N-Z, Torino, 2006, p. 1406 ss.; F. D’ARCANGELO, Frode fiscale e riciclaggio, in Riv. dott. comm., 2011, p. 334 ss.; P. IELO, Delitti tributari e riciclaggio: spunti di riflessione alla luce del decreto sullo scudo fiscale, in Rivista 231, 2010, 1, p. 10. Con riferimento al delitto di autoriciclaggio, v. L. DEAGLIO, *Autoriciclaggio e reati tributari: lo scontro dottrinale in punto di compatibilità, in Autoriciclaggio. La sistematica punitiva, a cura di A. Rossi e S. Quattrocolo, Napoli, 2017, p. 103; M. GALLI, Dentro il castello dei destini incrociati: la responsabilità dell’ente da autoriciclaggio, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2016, p. 131 (secondo cui «le difficoltà profilantesi sul piano teorico e, soprattutto, applicativo, non consentono di escludere che un autoriciclaggio da reati fiscali sia, almeno in astratto, configurabile»). In giurisprudenza v. ex plurimis, Sez. III, 26 maggio 2010, n. 25890, Molon, in C.E.D. Cass., n. 248058. ↩︎

  31. In questi termini, A. GULLO, Autoriciclaggio e reati tributari, cit., p. 2. ↩︎

  32. Art. 1 comma 143, l. 24 dicembre 2007, n. 244 recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato”, in G.U., serie gen., 28 dicembre 2007, n. 300, suppl. ord. n. 285. ↩︎

  33. V. per un significativo passaggio in tale direzione Sez. un., 30 gennaio 2014, n. 10561, Gubert, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., 12 marzo 2014, con nota di T. TRINCHERA, La sentenza delle Sezioni Unite in tema di confisca di beni societari e reati fiscali. ↩︎

  34. In questi termini, Sez. un., 26 giugno 2015 n. 31617, Lucci, in C.E.D. Cass., n. 264437. Per la dottrina, contro tale approccio dogmatico e applicativo, v. A.M. MAUGERI, L’autoriciclaggio dei proventi dei delitti tributari, cit., p. 125 ss.; V. MONGILLO, Confisca (per equivalente) e risparmi di spesa, cit., p. 717 e 738 ss.; C.E. PALIERO-F. MUCCIARELLI, Le Sezioni Unite e il profitto confiscabile, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., 4/2015, p. 248 ss.; R. BORSARI, Reati tributari e confisca di beni societari. Ovvero, di un’occasione perduta dalle Sezioni Unite, in Soc., 2014, p. 867 ss.; A.M. DELL’OSSO, Confisca diretta e confisca per equivalente nei confronti della persona giuridica per reati tributari commessi dal legale rappresentante: le Sezioni Unite innovano ma non convincono, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2014, p. 401 ss. V. sul punto anche la Relazione della Corte di cassazione - Ufficio del Massimario - n. 41/14 del 17 giugno 2014. ↩︎

  35. Sez. un., 27 febbraio 2014, n. 25191, Iavarazzo, p. 18, con nota di A. GALLUCCIO, Le Sezioni Unite sui rapporti fra riciclaggio, illecito reimpiego e associazione di tipo mafioso, in Dir. pen. cont., 17 settembre 2014. ↩︎

  36. In dottrina, sull’argomento, v. M. MAIWALD, Profili problematici del riciclaggio in Germania e in Italia, in Riv. it. dir. e proc. pen., p. 369 ss. L’Autore ritiene che si verificherebbe una “contaminazione” dell’intera somma, pur di lecita provenienza, giacente su un conto corrente bancario, nei casi in cui vi venga versata una piccola parte di danaro di illecita provenienza. Pertanto, quando da tale conto si prelevi successivamente un importo corrispondente alla somma illecita, precedentemente versatavi, si potrebbe parlare di illecita provenienza. A ben vedere, simile impostazione costituisce prova ulteriore di quanto l’indagine sulla concreta configurabilità del delitto di riciclaggio tenda alla svalutazione del ruolo dell’elemento dell’occultamento della illecita provenienza della res. Da ciò, infatti, discende la asserita sufficienza del semplice effetto di sostituzione, di scambio o di trasferimento dell’atto compiuto. L’intera operazione va esaminata nel suo complesso per vagliarne la obiettiva idoneità verso l’effetto di cd. “lecito-vestizione”. Altrimenti, finisce per ridursi l’indagine su elementi quali quello della “provenienza” della res, che non risultano decisivi ai fini dell’individuazione dei rapporti tra ricettazione e riciclaggio. V. sul punto, per la giurisprudenza che ha dato avvio a questa ‘lettura', Sez. II, 15 aprile 1986, Ghezzi, in Riv. pen., 1987, p. 797. In tale occasione la S.C. ebbe modo di affermare che in tema di riciclaggio, stante la fungibilità del danaro, non potesse dubitarsi che il deposito in banca di denaro “sporco” realizzasse automaticamente la sostituzione di esso, essendo la banca obbligata a restituirne il tantundem. V. anche, Sez. I, 7 marzo 1996, Trujillo, in C.E.D. Cass., n. 204672. Su questa stessa linea, più recentemente ed in totale conformità con l' ‘idea' di un delitto di riciclaggio fondato su condotte neutre, Sez. VI, 6 febbraio 2014, n. 16153, Di Salvo, ivi, n. 259337. Il delitto di riciclaggio sarebbe configurabile attraverso un “qualsiasi prelievo o trasferimento di fondi successivo a precedenti versamenti o anche con un mero trasferimento di denaro di provenienza da un conto corrente bancario a un altro diversamente intestato, e acceso presso un differente istituto di credito. ↩︎

  37. S. FAIELLA, Degenerazioni ermeneutiche in ambito di delitto di riciclaggio, in Nel diritto, fasc. 5/2012. ↩︎

  38. S. FAIELLA, Degenerazioni ermeneutiche in ambito di delitto di riciclaggio, in Nel diritto, fasc. 5/2012. ↩︎

  39. Per la dottrina che ritiene necessaria una valorizzazione del vincolo del testo normativo, v., R. CORDEIRO GUERRA, Reati fiscali e riciclaggio, in Riv. dir. trib., 2013, parte I, p. 1171, secondo cui la locuzione ‘provenienti da delitto non colposo' non possa che alludere a un trasferimento di ricchezza qualificato in ragione di un ‘moto da luogo' ↩︎

  40. Si tratta peraltro di un presupposto della condotta e non del reato. Pertanto, sul piano del nesso soggettivo, ove ne difetti la rappresentazione, ne risulta carente il dolo. ↩︎

  41. In tal senso, Sez. un., 26 novembre 2009, n, 12433, Nocera, in C.E.D. Cass., n. 246324 e in Guida dir. n. 20, p. 80 ss. Dopo aver solidamente posto un’actio finium regundorum tra ricettazione e incauto acquisto nella ‘materia' di confine del dolo eventuale/colpa cosciente, esse affermano che l’incauto acquisto, in quanto volto a punire, a titolo di colpa, l’acquisto o la ricezione di cose che suscitino anche solo il mero sospetto di un’origine da reato, sarebbe indipendentemente dall’effettiva sussistenza del reato presupposto. Tale decisione ripercorre un argomentare già espresso dalla S.C. in altre occasioni (v. Sez. II, 3 febbraio 1997, Cantiello, in C.E.D. Cass., n. 208571; Sez. III, 15 aprile 1994, La Grutta, ivi, n. 197804; Sez. II, 2 luglio 1982, Blanc, in Riv. pen., 1983, p. 884. Tale giurisprudenza riprende una vetusta ermeneusi che già alla sua epoca era stata oggetto di fondate censure. V. sul punto, Sez. II, 9 dicembre 1932, Lamberghi, in Annali dir. proc. pen., 1933, p. 1173, secondo cui: «La differenza tra il delitto di ricettazione e la contravvenzione di incauto acquisto sta in questo, che il primo si commette successivamente alla consumazione del delitto principale e richiede la consapevolezza della provenienza dal medesimo delle cose acquistate, ricevute o nascoste; mentre per la seconda è sufficiente che le cose acquistate o ricevute lascino sospettare che provengano da reato, ancorché si accerti in seguito che non è stato commesso». Tale impostazione non trovava il favore della dottrina dell’epoca, che osservava, che, seppure il ‘nuovo' codice non ripeteva la disposizione del capoverso dell’art. 493 del codice appena abrogato (codice Zanardelli), secondo la quale il colpevole andava esente da pena se provava la legittima provenienza delle cose incautamente acquistate, la irrilevanza penale trovava comunque ragione nella semplice insussistenza della obiettività giuridica del fatto. In tal senso, C. SALTELLI - E. ROMANO DI FALCO, Commento teorico pratico del nuovo Codice penale, seconda ed., Torino, 1940, IV ed., p. 1392. ↩︎

  42. In questi termini, R. PANNAIN, Il delitto di “favoreggiamento”, Napoli, 1933, p. 20. Osservavano, inoltre, C. SALTELLI - E. ROMANO DI FALCO, Commento teorico pratico, cit., p. 540, che il rapporto di accessorietà si misura in termini sostanziali e non processuali. In tal senso gli stessi richiamano una decisione dell’epoca, secondo cui «perché il giudice possa pronunciare condanna per ricettazione è sufficiente l’accertamento che le cose ricettate provengono da un delitto effettivamente commesso e non occorre quindi che per questo delitto sia stato iniziato procedimento penale» (Sez. II, 27 gennaio 1933, Fadi, in Annali dir. proc. pen., 1933, p. 409). Per la dottrina attuale, v. LIGUORI, Rapporti tra condotte principali e reato-presupposto …, a cura di MANNA, Riciclaggio di denaro e reati connessi …, cit., p. 109. ↩︎

  43. Lo studio del nesso anzidetto prende avvio già dal finire della seconda metà dell’ottocento, non appena i delitti di ricettazione e di favoreggiamento iniziano a guadagnare autonomia sul piano dogmatico e del diritto positivo. In quell’epoca prese avvio, soprattutto in dottrina, un’accesa disputa, in ordine alla possibilità di ricomprendere le indicate fattispecie in un unico genus detto dei delitti secondari, famulativi, di conseguenza, adesi o aderenti. Per la dottrina dell’epoca v. G. BORTOLOTTO, I delitti accessori, in Riv. pen., 1908, p. 125 ss.; F. CARRARA, Studi sul favoreggiamento, Opuscoli, Lucca, 1877, VII, p. 39, nonché, dello stesso Autore, Delitti accessori. Reminiscenze di cattedra e di foro, Lucca, 1883, p. 379; G. PERRONI FERRANTI, Delitti contro l’amministrazione della giustizia. Completo trattato teorico e pratico di diritto penale, Milano, 1893, p. 107. Invero, già i criminalisti della prima metà dell’ottocento parlavano di “delinquente accessorio”. V. sul punto G. CARMIGNANI, Juiris criminalis elementa, vol. I, Pisa, 1833, 240; T. DELOGU, Contributo alla teoria dei reati accessori, in Giust. pen., c. 257 ss.; C. SALTELLI - E. ROMANO DI FALCO, Commento teorico pratico del nuovo Codice penale, cit., p. 536 ss. A. PIERRI, La ricettazione secondo il Codice Penale italiano, Napoli, 1901, in nota n. 1 p. 4; F. MANTOVANI, Diritto penale, parte speciale, Delitti contro il patrimonio, cit., p. 247 ss. ↩︎

  44. Si è certo oramai ben lontani dall’approccio che aveva originariamente ispirato la cd. “pregiudiziale tributaria”, sia pure in un ambito diverso da quello oggetto della presente indagine, nell’accertamento dell’illecito tributario ai fini della celebrabilità del processo sul reato tributario. Tale istituto fu introdotto dall’art. 21, comma 3, della l. 7 gennaio 1929, n. 4. Per effetto di esso l’azione penale per i reati previsti in materia di imposte dirette, il cui accertamento richiedeva la quantificazione dell’evasione attraverso l’applicazione di norma tributarie, non poteva avere corso finché non fosse definito il giudizio tributario. L’istituto della pregiudiziale tributaria si riteneva violasse gli artt. 3 e 24 della Costituzione, in quanto il giudice penale veniva ad essere vincolato non solo da un accertamento definitivo contenuto nel giudicato tributario, ma potenzialmente anche da un accertamento operato dagli uffici finanziari divenuto definitivo a seguito della mancata impugnazione del contribuente. Il sistema della pregiudiziale tributaria concepito per conferire certezza e univocità del decisum nelle diverse sedi amministrativa e penale, significava postporre l’accertamento penale a spesso un lunghissimo procedimento amministrativo. Per queste ragioni, con l’entrata in vigore del d.l. 10 luglio 1982, n. 429, convertito in l. 7 agosto 1982, n. 516, si stabilì l’abbandono definitivo del sistema della pregiudiziale tributaria a favore del sistema del “doppio binario”. Riguardo ai delitti di ricettazione e di riciclaggio, pur non potendosi negare, in via di principio, la necessità del ricorrere del reato presupposto, l’indirizzo di prassi prevalente è oggi unanimemente attestato nel ritenere sufficiente una delibazione incidenter tantum che, nei fatti, si è oramai ridotta veramente a ben poca cosa, essendo ritenuta sufficiente l’acquisizione della mera denuncia o del verbale di sommarie informazione rese dalla presunta persona offesa, sulla fictio dettata da che la conoscenza storica ivi esternata non si riferirebbe direttamente alla responsabilità dell’imputato per il reato ascritto ma solo al reato presupposto. V. al riguardo ex multis Sez. II, 10 Marzo 1998, Lodola, in C.E.D. Cass., n. 213597. Per la giurisprudenza più risalente v. Sez. II, 26 aprile 1985, Vismara, in Riv. pen., 1986, p. 476. In dottrina in tempi oramai risalenti era stato di contro affermato che «Se per esso non è stato ancora iniziato procedimento, il giudice trasmetterà gli atti al Pubblico Ministero perché eserciti l’azione penale. Qualora, invece, il procedimento sia in corso, troverà applicazione l’art. 18 c.p.p. In conseguenza, se non si possa o non si ritenga opportuno provvedere all’unione dei due procedimenti, il giudizio per la ricettazione sarà rinviato fino a che sull’altro delitto non vi sia sentenza definitiva. In ogni caso la condanna per ricettazione non può aver luogo, se prima non è stato riconosciuto esistente, nei suoi elementi essenziali, il delitto presupposto, anche se di questo non ne sia stato accertato l’autore» (F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, parte speciale, I, XIII ed., Milano, 1999, p. 431 ss.). In tema di reati accessori l’attendere l’esito del ‘processo presupposto', se da un lato può risultare prima facie più garantistico, non può sfuggire come, salvo che per il delitto di autoriciclaggio, implichi una acquisizione passiva degli esisti di una res inter alios acta. ↩︎

  45. Sul punto giova richiamare quanto affermato dalle Sez. un.., 6 ottobre 2009, n. 38691, in Neldiritto.it, 6 ottobre 2009, in tema di confisca per equivalente di cui all’art. 322-ter, comma 1, c.p., riguardo alle distinzioni tra “prezzo” e “profitto” del reato. La Corte Suprema ravvisa nel “profitto” un vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato e nel “prezzo” il corrispettivo dell’esecuzione dell’illecito, che, evidentemente, entra nella disponibilità dell’accipiens solo ed esclusivamente in ragione del reato. Pertanto il prezzo può anch’esso divenire provento del reato. Ai fini però del ricorrere dell’ulteriore illecito accessorio non si può che concludere per la non configurabilità del tipo «con riferimento alla somma oggetto di ‘frode fiscale', o accantonata in un ‘fondo nero' coperto mediante un ‘falso in bilancio', perche´ la stessa non è identificabile, sul piano logico, al di fuori e prima della vicenda normativa descritta nel delitto ritenuto presupposto del riciclaggio, cosicche´ la stessa possa dirsi ‘pro-venire' all’autore; la frode fiscale o il falso in bilancio non trasferiscono un bene nella sfera del reo ma solamente contemplano, come oggetto, un bene individuabile solo a posteriori, attraverso il quantum oggetto dei delitti stessi». In questi termini, V. MANES,Il delitto di riciclaggio, in Diritto penale. Lineamenti di parte speciale, a cura di S. Canestrari - A. Gamberini - G. Insolera - N. Mazzacuva - F. Sgubbi - L. Stortoni - F. Tagliarini, 4^ ed., Bologna, 2006, 643; ID., voce Riciclaggio e reimpiego di capitali illeciti, in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, vol. V, Milano, 2006, p. 5234. ↩︎

  46. Sul punto della “utilità identificabile in concreto” v. A.R. CASTALDO - M. NADDEO, Il denaro sporco. Prevenzione e repressione nella lotta al riciclaggio, Padova 2010, p. 163 ss.; v. anche P. MAGRI, I delitti contro il patrimonio mediante frode, t. II, in Trattato di diritto penale - Parte speciale, a cura di Marinucci - Dolcini, Padova, 2007, p. 439; nonché G. REBECCA - G. CERVINO, *Frode fiscale su attività lecite e riciclaggio di denaro. Antiriciclaggio per i professionisti,*Milano,2006,p.63ss. ↩︎

  47. A tale riguardo deve essere rilevato che nel “delitto non colposo”, a rigore rientrano anche i delitti preterintenzionali. Posta la astratta conformità alla selezione operata dalla clausola, anche tali ultimi possono, a seconda delle concrete modalità del fatto, generare un provento riciclabile. Ad esempio, il corrispettivo corrisposto sul mandato al compimento di un’azione punitiva atta a percuotere o a recare lesioni personali, cui segua quale conseguenza non voluta anche dell’esecutore quella della morte della persona aggredita, può certamente essere considerato provento. ↩︎

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Il tema affidato riguarda un meccanismo sanzionatorio inserito nel nostro ordinamento, ormai nel 1991, con il ruolo di semplice aggravante.

Sì, perché, con l’art. 7 del d.l. 152 del 13 maggio 1991, viene introdotta nel nostro sistema una previsione incriminatrice sui generis secondo cui, tra l’altro, “Per …

Diritto E Contenzioso Tributario

Riclassamento via Docfa con motivazione affievolita

In breve

La giurisprudenza di legittimità torna a pronunciarsi sull’obbligo di motivazione delle procedure di riclassamento. E questa volta lo fa in contrasto con i precedenti giurisprudenziali. Secondo la Suprema Corte l’iter con Docfa prevedendo la collaborazione del contribuente, non necessita di ulteriori approfondimenti obbligatori invece nel …

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