Luca
        Procopio

La Cassazione chiarisce i rapporti tra infedeltà dichiarativa ed omesso versamento: ma la motivazione non convince del tutto

Di Luca Procopio

SCLN


La Cassazione chiarisce i rapporti tra infedeltà dichiarativa ed omesso versamento: ma la motivazione non convince del tutto

Abstract

La recente sentenza della Corte di cassazione n. 27963/2020, seppur ampiamente condivisibile nel risultato cui giunge, desta qualche perplessità nella parte finale dell’impianto motivazionale.

La Cassazione chiarisce i rapporti tra infedeltà dichiarativa ed omesso versamento

Pochi giorni fa è stata depositata la sentenza 7.12.2020, n. 27963 della Corte di cassazione ed è stata da subito salutata con favore dai primi commentatori. In effetti si tratta di una pronuncia di particolare rilievo poiché contribuisce a definire un importante aspetto del sistema sanzionatorio tributario sul quale il dibattito ed il contenzioso non si sono mai sopiti,nonostante i chiarimenti contenuti nella Circolare dell’Agenzia delle entrate n. 42/E del 12 ottobre 2016.

La Suprema Corte, in particolare, ha delineato (finalmente, si potrebbe aggiungere) i rapporti tra la sanzione prevista per l’infedeltà dichiarativa e quella prevista per l’omissione dei versamenti, stabilendo che la prima (più grave) assorbe la seconda; ne consegue che se il contribuente dichiara un imponibile inferiore a quello effettivo, è irrogabile la sola sanzione da dichiarazione infedele.

Le due sanzioni, infatti, sono ontologicamente diverse: la violazione di dichiarazione infedele si realizza quando il contribuente indica nella dichiarazione una imposta inferiore a quella effettivamente dovuta, omettendo di conseguenza di dichiarare somme dovute e di versare le relative imposte; quella di omesso versamento, invece, sanziona il mancato pagamento, alle scadenze stabilite, delle somme indicate a titolo di imposta dal contribuente nella propria dichiarazione, presupponendo, pertanto, che dalla dichiarazione redatta dal contribuente emerga un preciso importo “dovuto” successivamente non versato.

E proprio per questa ragione, nella fattispecie concreta esaminata dalla Suprema Corte di Cassazione non si dovrebbe neanche teoricamente ipotizzare la sussistenza della violazione di omesso versamento, in quanto il contribuente accertato non ha versato un importo inferiore a quello dichiarato a titolo di tributo, ma un importo esattamente pari a quest’ultimo.

La sentenza, comunque, appare ampiamente condivisibile nel risultato cui giunge e in relazione alla prima parte della relativa motivazione, mentre desta qualche perplessità la parte finale dell’impianto motivazionale.

Per corroborare le proprie conclusioni, i giudici richiamano il periodo dell’articolo 29, D.L. n. 78/2020 (dedicato agli avvisi di accertamento “esecutivi” o “impo-esattivi”) inserito dall’articolo 7, comma 2, lett. n) del D.L. n. 70/2011, a mente del quale “la sanzione amministrativa prevista dall’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, non si applica nei casi di omesso, carente o tardivo versamento delle somme dovute, nei termini di cui ai periodi precedenti, sulla base degli atti ivi indicati”. Analoga disposizione, è bene precisarlo, si rinviene nel comma 792 della Legge di bilancio 2020 (L. n. 160/2019) che ha esteso il sistema degli accertamenti esecutivi anche al comparto delle entrate locali in relazione agli atti emessi dal 1° gennaio 2020.

Ad avviso della Suprema Corte, questa disposizione sarebbe un’ulteriore conferma del fatto che la sanzione per omesso versamento di cui all’articolo 13, comma 1, D.Lgs. n. 471/1997 resti in qualche modo “assorbita” da quella prevista per la dichiarazione infedele e, quindi, che nessuna sanzione amministrativa può essere irrogata se oggetto dell’omesso versamento è l’imposta indicata nella dichiarazione dei redditi, IVA o IRAP.

A ben guardare, il richiamo effettuato dalla Corte all’articolo 29, D.L. n. 78/2010 appare ultroneo ed inconferente. La disposizione appena richiamata, infatti, risponde ad una finalità diversa, che nulla ha a che vedere con l’utilizzo che ne è stato fatto nella sentenza.

Ripercorrendo l’iter che ha portato alla sua adozione e alla luce del contesto normativo di riferimento, emerge che la disposizione inserita dal D.L. n.70/2011 nell’articolo 29 sopra citato venne introdotta dal Legislatore soltanto per evitare che, in caso di mancato pagamento di quanto richiesto con l’avviso di accertamento esecutivo, l’Amministrazione finanziaria potesse richiedere “anche” il pagamento dell’ulteriore sanzione per omesso versamento prevista dal “terzo” comma dell’articolo 13, D.Lgs. n. 471/1997, a mente del quale:" Fuori dei casi di tributi iscritti a ruolo, la sanzione prevista al comma 1 si applica altresì in ogni ipotesi di mancato pagamento di un tributo o di una sua frazione nel termine previsto". Tanto è vero che nel precedente sistema di accertamento e riscossione dei tributi, la stessa Amministrazione, nel punto 9.2.1.della circolare n. 98/E del 2000, aveva precisato che il medesimo terzo comma reca una disposizione di “carattere generale”, che “riguarda cioè tutti i casi in cui sorge l’obbligo di pagare un’imposta entro una precisa scadenza e tale incombenza viene disattesa. Pertanto, anche il mancato pagamento dell’imposta accertata dall’ufficio entro i termini stabiliti dall’art. 60 del DPR 633/1972 è soggetto alla sanzione del trenta per cento”.

La norma, dunque, non dispone affatto la inapplicabilità della sanzione per omesso versamento prevista dall’articolo 13, comma 1, D.Lgs. 471/1997 per il tramite di un avviso di accertamento esecutivo. D’altronde, con l’avviso di accertamento – si pensi al comparto dei tributi comunali – può essere irrogata anche una sanzione per omesso o insufficiente versamento del tributo. Il presidio posto dalla norma consente più semplicemente di evitare che, in caso di mancato pagamento nel termine previsto dallo stesso avviso, possa essere richiesta la seconda sanzione “residuale” per l’omissione del versamento. In conclusione, quindi, nell’ipotesi di infedele dichiarazione dei redditi, IVA o IRAP il risultato di ottenere l’applicazione di una sola sanzione – raggiunto dalla Corte di Cassazione nella pronuncia in esame – deve essere comunque garantito, ma non appare corretto, a tal fine, far leva sull’articolo 29, D.L. n. 78/2010.


Luca Procopio

Dottore Commercialista e revisore dei conti, Ph.D. in Diritto Tributario, Università degli studi di Roma Tor Vergata Avvocato, Ph.D. in Diritto Tributario Sapienza Università di Roma

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